E’ il dicembre 1965 e Bob Dylan arriva nella Bay Area per tenere un concerto a Berkeley, la cui università è il cuore del movimento radicale contro la guerra in Vietnam e l’Establishment. E’ il primo tour elettrico del cantautore americano, accompagnato dagli allora The Hawks, futura The Band e dai “booo” di contestazione degli esponenti di sinistra del vecchio movimento folk che si sentono traditi dal loro eroe (sarà peggio in Europa l’anno dopo, alla vigilia del Maggio francese, dove la coscienza di sinistra è ben più radicata che in America; un socialista come Bernie Sanders non sarà mai eletto negli Stati Uniti, per capirsi). Al pomeriggio Dyan tiene una oggi celebre conferenza stampa ripresa dal canale televisivo KQED dove viene “martellato” di domande sulla canzone di protesta e sul presunto messaggio che lui porta avanti (“Ti consideri un cantante o un poeta?”, “Mi considero maggiormente un cantante e un ballerino”). A un certo punto qualcuno gli chiede se arriverà mai al punto da “svendersi” per fare uno spot pubblicitario. Il cantante sogghigna e risponde: “Indumenti da donna”.



E’ il 2004, siamo a Venezia. Nel frattempo, da allora, Bob Dylan non ha mai fatto spot pubblicitari. Ma sugli schermi televisivi ne appare adesso uno della celebre azienda di indumenti di biancheria intima Victoria’s Secret. Partono le note di una canzone recente del cantautore, Love sick (“Vedo sagome alla finestra… sono stanco dell’amore vorrei non averti mai incontrata”). In uno splendido salone settecentesco la più bella delle modelle di Victoria’s Secret, la brasiliana Angela Lima, sensualissima e in biancheria intima, appare in mezzo al salone con due ali da angelo. Bob Dylan entra da una porta, i due si scambiano un’occhiata intensa, lo sguardo di lui è pieno allo stesso tempo di lussuria e malinconia, quello di lei è un esplicito invito beffardo. Dylan ha superato i sessant’anni, è anziano, ha i baffetti e l’abito da gentiluomo di un’epoca passata, è un fantasma. Poi volta le spalle e se ne va, mentre lei ha indossato il suo cappello, come se si dicessero: rinuncio a te, ma lei ne possiede l’anima. E’ un video clip di soli 30 secondi, ma è straordinariamente affascinante. Il desiderio, la concupiscenza che svaniscono nell’uomo anziano mentre la bellezza giovanile si fa beffe di lui. E, come promesso nel 1965, Bob Dylan ha fatto pubblicità “per indumenti femminili”.



E’ solo l’inizio. Due anni dopo farà coppia nientemeno che con la Apple per promuovere il suo nuovo disco Modern Times su iPod e quindi passa alle macchine. Prima la Cadillac, la macchina mito dell’America, dove appare alla guida del veicolo per le strade desertiche d’America, ile pompe di benzina abbandonate, un incrocio che ricorda quello di Robert Johnson commentando (la voce e il testo sono tratti da una puntata del suo programma radiofonico): “Oggi, stiamo attraversando gli infiniti nastri grigi di asfalto che collegano il nostro paese. Stiamo parlando di dove la gomma incontra la strada. Saliremo a bordo della carrozza a quattro ruote senza cavalli, e non solo una carrozza senza cavalli – questa settimana viviamo alla grande e saliremo su una Cadillac. Cadillac. Vagano, navigano, ti fanno sentire come se avessi un milione di dollari. Niente è meglio di una Cadillac e di un lungo viaggio verso il nulla, pieno della musica giusta. Potrebbe essere rock and roll, jazz, jump, jive, punk, folk o hip hop. Potrebbe essere calypso o blues. Non importa cosa ascolti, basta che ascolti. Tutta la musica suona un po’ più dolce, un po’ più ordinata, quando i finestrini sono abbassati e hai le mani a 10 e 2. Sai cosa c’è di meglio di un ottimo brano da strada? Non avere un DJ che parla dappertutto. A meno che, ovviamente, quel DJ non sia io”.



Cadillac, musica e America. Niente di più americano.

Arriva poi in occasione del Superbowl di qualche anno dopo uno spot per un’altra vettura americana, questa volta la Chrysler. Questa volta il risultato è meno riuscito, un po’ troppo paternalistico e nazionalista, ma si sa quanto gli americani, compresi i cantanti rock, siano patriottici. E a quanto ci tengano ai loro prodotti: “C’è qualcosa di più americano dell’America? Perché non puoi importare l’originale. Non puoi fingere ciò che è figo davvero. Non puoi duplicare la versione precedente. Perché ciò che Detroit ha creato è stato il primo ed è diventato un’ispirazione per il resto del mondo. Sì, Detroit ha fatto le auto e le auto hanno fatto l’America. Fare il meglio richiede convinzione. E non puoi importare il cuore e l’anima di ogni uomo e donna che lavora in fabbrica. Puoi cercare in tutto il mondo le cose più belle, ma non troverai una corrispondenza per la strada americana e le creature che ci vivono, perché crediamo nello zoom, nel ruggito e nella spinta. E quando è prodotto qui, è fatto con l’unica cosa che non puoi importare da nessun’altra parte: l’orgoglio americano. Quindi lascia che la Germania produca la tua birra e la Svizzera faccia il tuo orologio. Lascia che in Asia montino il ​​tuo telefono. Noi costruiremo la tua auto”.

A partire dalla fine degli anni 80 gli spot pubblicitari con l’uso di canzoni rock leggendarie sono diventati un fatto comune. Tra i primissimi la Levi’s nel 1991 con Should I stay or should I go dei Clash; poi Boom Boom Boom di John Lee Hooker per la birra Budweiser e addirittura la Volkswagen con Pink Moon del povero Nick Drake. I Wilco hanno dato diverse canzoni dell’album del 2007, Sky Blue Sky, per la Volkswagen. Lo stesso hanno fatto gli Who. Persino Neil Young, che una volta aveva giurato che “Non canto per la Pepsi / Non canto per la Coca-Cola” in una canzone del 1988, ha approvato la pubblicità dello streaming musicale di alta qualità di Amazon nel 2019. In molti gridarono al tradimento. Non si vende la musica che è stata la colonna sonora della nostra ribellione (?) per soldi. Rick Danko di The Band, quando la casa editrice del primo disco del gruppo (guarda caso, allora di proprietà di Bob Dylan) diede la loro The weight per una pubblicità alla Diet Cocke esultò per i 50mila dollari ricevuti visto che se la passava male da tempo. E al proposito, qualcuno ricordoa lo spot della Swatch di diversi anni fa? La canzone utilizzata era Breathe dell’ex leader degli Ultravox e co-organizzatore del Live Aid insieme a Bob Geldof, Midge Ure. Il brano era uscito da tempo, ma non aveva avuto nessun riscontro commerciale. Con l’uso nello spot televisivo, la canzone esplose a livello mondiale vendendo tantissimo (era anche un bello spot). Un po’ di giustizia per artisti dimenticati non è male, no?

Tutto dipende dalle circostanze, tutto è in vendita in questo mondo moderno. E non c’è da stupirsi che le canzoni rock siano diventate il veicolo preferito dai pubblicitari, in quanto quelli che adesso sono ai vertici delle aziende e fanno quel lavoro, 50 anni fa erano quei ragazzi che si rotolavano nel fango e si facevano di acidi a Woodstock. Anzi, c’è da essere contenti che quelle canzoni siano percepite, ascoltate, scoperte, e abbiano un impatto sulle giovani generazioni.

“Avendo guadagnato le sue qualità resistendo a “l’uomo del sistema”, Bob Dylan ora è diventato un’icona culturale che rappresenta un’autenticità assoluta”, ha detto John Covach, direttore dell’Istituto di musica popolare presso l’Università di Rochester. “In parte perché la sua musica non è più pop attuale, non c’è il rischio che i fan lo percepiscano cooptato dalle grandi imprese. La sua posizione nella storia della musica gli ha assicurato un posto tale che Dylan rappresenta un’immagine di integrità, indipendenza e autenticità in un modo che solo una persona con una presenza lunga e consolidata nella cultura pop può farlo. Dylan significa qualità”.

Vale anche per Bruce Springsteen e tutti gli altri come loro. Il suo spot per la Jeep trasmesso l’altra sera al Superbowl è stato duramente contestato dai fan.

In realtà, le aziende che usano questi personaggi non stanno facendo pubblicità perché la gente compri un oggetto, un computer, una macchina, ma si stanno facendo una immagine. Siamo seri: quale ragazzina si comprerebbe delle mutandine dopo aver visto uno spot dove un vecchio bavoso che non sanno chi sia fa pubblicità? O quale idiota (purtroppo ce ne sono) domani comprerà una Jeep perché la guida Bruce Springsteen pensando, “oh mio Dio, adesso sarò figo come lui”?

E’ invece meritevole da parte delle aziende commerciali volersi legare a personaggi che hanno fatto la storia non solo musicale ma anche culturale del loro paese.

Lo spot per la Jeep che Springsteen ha fatto è comunque bellissimo. E’ il primo della sua carriera, dopo averne rifiutato a dozzine, e adesso viene accusato di essersi venduto, di cantare della classe operaia ma di essere invece uno sporco accumulatore di soldi. A parte che nessuno sa cosa facciano di quei soldi, magari li rifiutano anche, Dylan e Springsteen, o magari li danno in beneficenza, il concetto è che gli è stata data, in un anno in cui non ha potuto fare concerti causa Covid, l’occasione di fare uno spot dall’altissima valenza politica in un momento, la fine dell’era Trump, importantissimo per l’America. Ha avuto totale carta bianca, ha detto il rappresentante della Jeep. Come ha detto giustamente qualcuno sui social, “non è la Jeep che ha usato Springsteen, ma è Springsteen che ha usato la Jeep”.

Secondo i retroscena ricostruiti dalla rivista Variety, i rappresentanti della Jeep lo hanno tampinato a lungo, promettendogli nessuna interferenza, ma lui è stato indeciso fino all’ultimo istante (“Springsteen non è in vendita, non è neanche in affitto” avrebbe risposto il suo manager Jon Landau, anche se Springsteen ha sempre citato automobili nelle sue canzoni, dalle Cadillac alle Subaru). Solo quando qualcuno ha avuto la geniale idea della location dove girare lo spot, la situazione è cambiata.

C’è una minuscola cappella, situata esattamente al centro degli Stati Uniti, nei pressi della città di Lebanon, “una chiesa che non chiude mai, tutti sono invitati a venire a trovarci qui – nel mezzo. Non è un segreto: ultimamente è stato difficile arrivare al centro, tra il rosso e il blu (i colori del partito repubblicano e di quello democratico, nda), tra il servo e il cittadino, tra la nostra libertà e la nostra paura”. Erano parole di un agente pubblicitario, David DeMuth, che aveva scritto una sceneggiatura, archiviata perché non sapeva che farsene, ispirato da quella location. Springsteen la legge, vuole vedere il posto. “L’ha considerata una preghiera”, dice DeMuth, e sappiamo quanto la spiritualità nello Springsteen 70enne sia diventata importante. Ma anche il cuore dell’America che dopo la devastazione Trump ha bisogno di riunirsi: “The Re-United States of America”.

Springsteen, ha detto il responsabile marketing della Jeep, “è stato sincero al 100%, onesto e autentico. Questo è un tentativo di contribuire, di guarire. Questo non è un tentativo di prendere una posizione “, dice Francois. Springsteen “sentiva che era tempo per lui di essere questo ragazzo nel mezzo dell’America, che parlava con l’America da questa piccola cappella nell’epicentro dell’America, e rappresentava il centro e nient’altro. Spero davvero che questo venga compreso “, dice, aggiungendo:” Abbiamo agito in buona fede e da brave persone, cercando di fare questa cosa per un bene superiore. Ora sarà di dominio pubblico e vedremo cosa accadrà, ma non ho rimpianti “. E ha ragione.

Springsteen ha parlato con il cuore, dal cuore dell’America, da una piccola chiesa aperta a ogni ora del giorno e della notte a tutti. Era e rimane la voce dell’America. Anche se guida una Jeep.

C’è una cappella in Kansas

Che sta al centro esatto dei 48 stati continentali

Non è mai chiusa

Tutti sono più che benvenuti

e invitati a venire trovarci qui, nel centro.

Non è un segreto.

Il centro è stato un posto difficile da raggiungere ultimamente.

Tra il rosso e il blu. Tra servo e cittadino.

Tra la nostra libertà e la nostra paura.

Ora, la paura non è mai stata la parte migliore di ciò che siamo.

Quanto alla libertà, non è proprietà di pochi fortunati, appartiene a tutti noi.

Chiunque tu sia, ovunque tu sia.

È ciò che ci collega.

E abbiamo bisogno di quella connessione.

Abbiamo bisogno del centro.

Dobbiamo solo ricordare che il terreno su cui ci troviamo è un terreno comune.

Quindi possiamo arrivarci.

Possiamo arrivare in cima alla montagna, attraverso il deserto,

e supereremo questa divisione.

La nostra luce ha sempre trovato la sua strada nell’oscurità.

E c’è speranza sulla strada… più avanti.

—- —- —- —-

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI