Ha iniziato Bob Dylan ad accendere la scintilla, come sempre fatto. D’altro canto negli anni 60 i Beatles dicevano che è lui “che indica la strada”. Lo ha fatto ancora una volta. E hanno cominciato a seguirlo in molti. L’ultimo della lista, che nessuno si aspettava, è Bruce Springsteen e a giudicare dalla cifra resa nota, è anche quello che ha guadagnato di più: 500 milioni di dollari contro i circa 400 dell’anziano collega che già sembravano tanti. Le leggende del rock ancora in vita si stanno svendendo il catalogo delle loro canzoni, i panni buoni, le loro creazioni. D’altro canto se si vende un Picasso all’asta perché non vendersi una canzone? Mah, una volta pensavamo che un artista, soprattutto un cantante rock, voce dei nostri ideali, sogni e speranze non fosse così attaccato al soldo, facesse il lavoro che fa per un ideale.
Vabbè, gli ideali sono tramontati da tempo, però rimane l’amaro in bocca sapere che canzoni come Blowin’ in the wind o Born to run domani potrebbero essere usate dai nuovi proprietari per uno spot televisivo delle mutande o per la sigla di X Factor. Sono sempre di più: Stevie Nicks cantante dei Fleetwood Mac, David Crosby, voce della guerra contro il Vietnam, i Blondie, David Stewart degli Eurythmics. Ma perché lo fanno, si chiedono tutti? In fondo se sei il proprietario del tuo catalogo di canzoni, queste ti rendono sempre ogni anno con i diritti d’autore. I proventi arrivano da quelli minuscoli delle singole riproduzioni in streaming a quelli potenzialmente milionari degli utilizzi nei film e nelle serie tv, passando per le cover suonate dal vivo, le trasmissioni in radio. Possedere un catalogo significa anche poter pubblicare nuove edizioni fisiche o digitali dei dischi, o nuove raccolte. Attraverso gli enti che raccolgono i proventi nei singoli paesi le royalties musicali hanno rappresentato per decenni la principale fonte di guadagno per gli artisti.
LA MUSICA E’ FINITA
E’ come se Springsteen fosse proprietario di pozzi petroliferi: ogni anno porta a casa un guadagno. Vendere quei pozzi significa che sa che fra un tot di anni quei pozzi saranno esauriti. E le canzoni? Già, purtroppo il mondo della musica si sta esaurendo. Da quando Internet ha fatto irruzione, i dischi fisici non i vendono più. La musica passa per piattaforme in streaming, è diventata liquida e non permette di guadagnare quasi più niente. Spotify, la piattaforma più diffusa, è tra quelle che pagano meno, tra un terzo e metà di un centesimo a riproduzione. Significa che un artista solista deve accumulare alcune centinaia di migliaia di riproduzioni al mese, per arrivare a uno stipendio da salario minimo. Youtube paga ancor di meno. Non è un caso che la corsa alla vendita dei cataloghi musicali sia cominciata in piena pandemia di Covid, quando non era più possibile fare concerti, che sono rimasti l’unica vera fonte di guadagno per i musicisti. David Crosby, uno dei più celebri artisti rock degli anni Sessanta e Settanta, ha detto che ha venduto le sue canzoni perché “Non posso più lavorare, lo streaming ruba i miei soldi, ho famiglia e un mutuo da pagare, è l’unica opzione che mi resta. Lo streaming non ci paga e il Covid ha bloccato ogni concerto dal vivo. Se potessimo essere pagati per i dischi e per suonare dal vivo, nessuno di noi venderebbe il suo catalogo di canzoni”. La domanda però è: perché se un catalogo di canzoni rende sempre meno c’è qualcuno disposto a spendere anche 500 milioni di dollari per averlo? In realtà gli artisti le cui canzoni renderanno sempre qualcosa sono pochi, appunto i Dylan e gli Springsteen, per questo ci sono aziende che fanno a gara per accappararseli. Secondo il Wall Street Journal, attualmente il valore dei cataloghi di un artista si aggira tra le 10 e le 18 volte il valore delle royalties annuale, quando negli scorsi anni era rimasto tra le 8 e le 13 volte. Negli Stati Uniti, poi, le vendite del proprio catalogo sono tassate al 20%, come redditi da capitale, a differenza dei ricavi sulle royalties che sono tassati al 37%. Insomma, sta finendo un mondo, bisogna farsene una ragione. Le giovani star di oggi non guadagnano nulla, anche se si parla di “milioni di streaming” e nel futuro saranno poveri in canna.