La chiamano “i Pili”: è un’area coperta da una specie di boschetto lasciato al suo destino, incuneata tra la parte “continentale” del Ponte della libertà, la laguna, i maxi serbatoi della via dei Petroli e l’ex raffineria dell’Eni. Una zona a lungo contaminata dai rifiuti tossici, fino a quando, negli anni 90, il Comune di Venezia decise di promuoverla ad area di verde urbano, con possibilità di svilupparvi anche progetti edilizi. Ma per procedere serviva una costosa bonifica (circa 200 milioni di euro). Il Comune ne scelse quindi la vendita all’asta, incanto che vide un solo partecipante, la società “Porta di Venezia”, che fa capo all’attuale sindaco lagunare Luigi Brugnaro, in procinto di acquisire anche la squadra di basket Reyer, che avrebbe potuto sfruttare proprio quell’area per la propria base operativa e d’allenamento.
L’area passò quindi di mano per 5 milioni di euro. Passarono dieci anni di non-fatto, fino all’elezione a sindaco di Luigi Brugnaro, nel 2015, quando, per scansare le accuse di conflitto d’interesse, decise di mettere la sua società “Porta di Venezia” (ma anche il restante suo patrimonio) nelle mani di un blind trust. Come dire: nessun conflitto, io non c’entro più niente.
In tempi recenti, però, quell’area era finita tra gli obiettivi di tale Chiat Kwong Ching, chiamato “Mr. Ching”, l’imprenditore di Singapore presidente esecutivo e Ad del suo “The Group”, impegnato in sviluppi edilizi. Adesso la magistratura veneziana sostiene che “il sindaco Brugnaro, il capo e il vicecapo di gabinetto, Ceron e Donadini, concordavano con Chiat Kwong Ching il versamento di 150 milioni di euro in cambio della promessa di far approvare, grazie al loro ruolo all’interno dell’ente comunale, il raddoppio dell’indice di edificabilità sui terreni in questione e l’adozione di tutte le varianti urbanistiche che si sarebbero rese necessarie per l’approvazione del progetto edilizio ad uso anche commerciale e residenziale della volumetria di 348.000 mq che sarebbe stato approntato e presentato da una società di Ching.
Le accuse sono contenute nell’ordinanza che ieri mattina ha portato in carcere l’assessore comunale alla Mobilità Renato Boraso, con “ipotesi di reati perpetrati ai danni della pubblica amministrazione”. Il sindaco Brugnaro è stato raggiunto da un avviso di garanzia, ma sarebbe solo “per la sua tutela – ha precisato il procuratore Bruno Cherchi – perché si stanno ancora accertando eventuali ipotesi di reato sull’area dei Pili e altre attività del suo blind trust”. In tutto sono due le ordinanze di custodia cautelare in carcere, una per Boraso e una per l’imprenditore edile Fabrizio Ormenese, e altre sette di arresti domiciliari, per Alessandra Bolognin, dg della municipalizzata IVE La Immobiliare veneziana; Daniele Brichese, imprenditore; Carlotta e Francesco Gislon, imprenditori; Marco Rossini, imprenditore; Filippo Salis, imprenditore; Matteo Volpato, altro imprenditore. Oltre al sindaco Brugnaro risultano indagati anche il suo capo di gabinetto e direttore generale del Comune Morris Ceron, e il suo vice Derek Donadini.
I magistrati sostengono che l’assessore Boraso avrebbe “sistematicamente mercificato la propria pubblica funzione, svendendola agli interessi privati” degli imprenditori indagati, una condotta no stop negli ultimi anni, che ha portato ai capi d’imputazione: concussione per induzione, corruzione per l’esercizio della funzione (cioè aver messo a disposizione dei privati il proprio incarico pubblico), corruzione per compimento di atto improprio, con la creazione di falsa documentazione contabile da parte di società a lui intestate e autoriciclaggio.
Ma sotto la lente non c’è solo l’area Pili: si vuole valutare anche la cessione di palazzo Poerio Papadopoli da parte del Comune. Brugnaro, Ceron e Donadini, riporta il decreto, “concordavano con Ching e Luis Lotti (il rappresentante in Italia di Ching) la cessione dell’immobile comunale al prezzo di circa 10 milioni di euro, inferiore al valore stimato di 14 milioni”. Così “l’immobile veniva aggiudicato alla società Fortune Oxley srl di Ching per 10 milioni e 800mila euro”.
“Sono esterrefatto! – ha commentato ieri a caldo Luigi Brugnaro – in coscienza so di aver sempre svolto e di continuare a svolgere l’incarico di sindaco come un servizio alla comunità, gratuitamente, anteponendo sempre gli interessi pubblici. L’ipotesi che io abbia potuto agire sui Pili per portare dei vantaggi in termini di edificabilità e/o varianti urbanistiche è totalmente infondata, come ho già avuto modo di spiegare dettagliatamente e pubblicamente più volte. Quella, come noto, è un’area già edificabile da prima della mia amministrazione e mai ho pensato, né messo in atto, alcuna azione amministrativa per un cambiamento delle cubature. Stessa cosa riguardo la vendita di Palazzo Papadopoli, che mi risulta alienato secondo una procedura trasparente dal punto di vista amministrativo. Ovviamente, sono e resto a disposizione della magistratura per chiarire tutte queste questioni”.
Il florilegio dei commenti, ovviamente, è iniziato ieri subito dopo il diffondersi della notizia, in una città già di suo abbastanza sfibrata nelle dispute su overtourism, rarificazione dei residenti, caro-affitti insostenibile, ticket d’ingresso. E le lunghe polemiche sul sindaco Brugnaro, finito più volte al centro di focus anche di trasmissioni d’inchiesta come Report, sempre per il suo presunto conflitto d’interesse. Polemiche, però, che sembrano quasi luoghi comuni nel caso che un primo cittadino, o un amministratore, siano imprenditori nella vita privata, con attività che spesso possono risultare in rapporti osmotici con la funzione pubblica.
Sembra più strano, invece, che le presunte malefatte dell’assessore siano proseguite indifferenti alle indagini della Finanza, che in più occasioni aveva fatto visita in Comune, ai suoi uffici. Se l’impianto accusatorio dovesse reggere, sarebbe questa la prova che il sentiment di impunibilità di certuni non si è diluito nemmeno dopo Tangentopoli, anzi. Se le accuse non dovessero invece portare ad evidenze incontrovertibili, troverebbe ragione chi già oggi sostiene che si tratta solo di una mossa giudiziar-politica, quasi un altro caso Toti, insomma, in vista delle tornate elettorali del prossimo anno.
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