Riaperto il caso relativo all’omicidio di Bruno Caccia, il magistrato ucciso a Torino il 26 giugno 1983. Per gli inquirenti gli è stata tolta la vita per mano della ‘ndrangheta, ma sono stati disposti nuovi accertamenti dalla procura generale di Milano. Il procuratore generale Francesca Nanni, stando a quanto riportato dall’Ansa, ha raccolto le dichiarazioni di Rocco Schirripa, che era stato condannato in via definitiva all’ergastolo il 20 febbraio 2020 proprio per tale delitto. La procura generale di Milano da tempo ha un fascicolo relativo ad accertamenti supplementari.



Bruno Caccia fu ucciso da un commando sotto casa. All’epoca era a capo della procura di Torino. Era noto per la sua determinazione e intransigenza a lavoro. La Cassazione avvalorò le conclusioni degli inquirenti, secondo cui l’omicidio portava la firma della criminalità organizzata. Nel 1992 fu condannato in via definitiva all’ergastolo il presunto boss Domenico Belfiore, in qualità di mandante. Rocco Schirripa fu arrestato nel 2015 e cinque anni dopo l’ergastolo è diventato per lui irrevocabile.



OMICIDIO BRUNO CACCIA, TRA PROCESSI E INDAGINI

La Suprema Corte, nella sua ultima sentenza, ha sancito che tra i moventi dell’omicidio di Bruno Caccia figura “l’azione di antagonismo giudiziario“, che il procuratore stava conducendo 37 anni fa “verso l’espansione calabrese illecita nell’area piemontese e torinese“, anche nei casinò. Ma da tempo la famiglia Caccia, con l’avvocato Bruno Repaci, chiede che si faccia piena luce sull’omicidio e che non si trascuri alcuna ipotesi. Questo delitto, nonostante processi e sentenze, ha infatti diversi aspetti da chiarire. Nel 2018 la procura generale di Milano prese in carico un fascicolo su Francesco D’Onofrio, ex militante dei Colp, formazione eversiva di estrema sinistra nata dalla dissoluzione di Prima Linea, da cui si dissociò formalmente nel 1987. Gli investigatori dell’antimafia a Torino sono convinti che fosse legato alla criminalità calabrese e che avesse avuto un ruolo nell’omicidio di Bruno Caccia. D’Onofrio però ha sempre negato di essere membro della ‘ndrangheta, sostenendo anzi di “dissentire completamente” dal quel genere di mentalità. Inoltre, per quanto riguarda l’uccisione del magistrato, ha negato qualsiasi coinvolgimento dichiarando di non ricordare neppure cosa stesse facendo quel giorno.

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