Bruno Carbone, ex narcotrafficante della camorra, è tornato in Italia e ha raccontato di essere stato rapito da una banda di miliziani jihadisti al confine tra la Turchia e la Siria. La storia, come riportato da Il Messaggero, ha inizio nell’estate del 2021, quando le autorità arrestarono il boss nonché sua allora spalla Raffaele Imperiale. In quel momento si trovava a Dubai e capì che l’Interpol era vicina a trovare anche lui. “Mi sentivo osservato da soggetti strani, che per me erano dei poliziotti. Mi accorsi anche che qualcuno mi scattava foto”.
L’esponente della malavita cominciò dunque a far perdere le sue tracce. “Noleggiavo più auto per percorrere anche pochi chilometri, una volta ho usato anche quattro auto nel corso della stessa giornata; in altre occasioni ho usato il taxi del mare, fino a quando non ho capito che dovevo lasciare la zona. Ho investito 60 mila euro per andar via da Dubai. Sono partito con un jet privato, destinazione Bodrum, accanto a un sultano”.
Bruno Carbone, da camorra a cattura jihadisti: la storia del boss
La fuga di Bruno Carbone, boss della camorra, si sarebbe conclusa però con una drammatica cattura da parte di una banda di jihadisti nel momento del suo ingresso in Siria, Paese che avrebbe dovuto fare da ponte per il Sudamerica. Lo chiusero in un container e lo torturarono per giorni, mentre i suoi compagni venivano uccisi. In base al racconto, lui riuscì ad evitare la condanna a morte con alcuni stratagemmi che aveva imparato durante i suoi trascorsi in Medio Oriente.
“Mi sono spacciato per ucraino, conoscendo certi equilibri, è stata una mossa vincente; poi ho chiesto il Corano. Mi è servito ad evitare un trattamento disumano. Da quel momento in poi, niente torture e sevizie, all’interno della cella, come se avessi avuto un trattamento di riguardo. Col tempo iniziato realmente a credere nel Corano. Mi sono convertito, tuttora sono islamico”, ha raccontato. Infine, la liberazione. “Un giorno mi convocano, mi fanno lavare, mi tagliano i capelli e la barba, poi mi fanno abiti puliti. Ho pensato che fosse giunto il mio momento, purtroppo la scena degli uomini decapitati e filmati era viva in me. Invece sono finito in una sorta di hangar e per la prima volta, dopo mesi, ho sentito parlare italiano”.