L’utero in affitto è un’aberrazione etica, oltre che un illecito giuridico. Ad affermarlo è Bruno Ferraro, Presidente aggiunto Onorario della Corte di Cassazione. Ne parla sulle colonne di Libero, partendo da una premessa: avere figli non è diritto, sono loro ad essere titolari del diritto di avere dei genitori. Solo partendo da questo principio è possibile, per Ferraro, entrare nel merito della questione.
«Sul piano etico sembra evidente che siamo in presenza di un “mercato” inaccettabile, caratterizzato da uno sfruttamento delle donne povere che scelgono, per far fronte all’indigenza, di sottoporsi passivamente a una sorta di violenza, privandosi per soldi delle emozioni legate alla maternità, le cui conseguenze sono destinate a farsi sentire dopo qualche tempo». Ma Bruno Ferraro rimarca anche gli effetti negativi ai danni del neonato, che definisce ancor più gravi. «Le scienze psicologiche e mediche hanno messo in luce che la voce della madre rappresenta una fonte importante di comfort emotivo».
“FORME ABERRANTI DI SFRUTTAMENTO…”
Alla luce di tutto ciò, per Bruno Ferraro bisogna stabilire dei paletti per scongiurare una deriva che non potrebbe che essere pericolosa, visto quanto accade in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove la maternità surrogata è diventata commerciale. «Il bambino non è un oggetto o un giocattolo, ma un soggetto di diritto che va tutelato», scrive su Libero il Presidente aggiunto Onorario della Corte di Cassazione. In riferimento all’attuale quadro normativo, ritiene che non sia necessaria alcuna modifica, «se si vogliono evitare aberranti forme di sfruttamento, di commercio della maternità, di irreparabile lesione della dignità delle donne usate per la gestazione del bimbo». A tal proposito, nel corso del suo intervento cita anche un gruppo di femministe che, avendo compreso ciò, ha preso posizione contro la pratica dell’utero in affitto. Ma da giurista quale è ha voluto concludere ricordando che «la legittimità dei vari divieti è stata riconosciuta sia dalla Cassazione sia dalla Consulta».