Registrato a dicembre e uscito a gennaio, a due anni esatti dal precedente ‘album del pettirosso’, mai alzatosi in volo per i concerti.

A pochi giorni dall’uscita i due siti dal nome quasi identico, Rockol e Rockit pubblicano online un’intervista con Dario Brunori, il cantautore calabrese in circolazione ormai da quasi una ventina d’anni. Su Rockol comanda il gioco nientemeno che Ernesto Assante mentre su Rockit insieme all’ottimo Simone Stefanini si trovano anche le esecuzioni voce e chitarra di due delle canzoni contenute in questo inaspettato mini-album. Vi consiglio la visione delle due clip, io qui sotto provo a dirvi cosa questo lavoro lampo, questo instant-album ha detto a me.



Ah già, stiamo parlando di Cheap!, EP di cinque canzoni che nel titolo da una parte ricorda il precedente Cip, dall’altra espone in un acronimo il manifesto del lavoro: Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk. Il pettirosso in copertina, che ancora non ha volato live ha un fratellino forse un po’ disagiato, Brunori dice meglio “fingendo di esserne il surrogato, il fratellino storto, quello uscito male.”



Occorre dire innanzitutto che a chi scrive paiono canzoni scaturite da una vena piuttosto felice, forse, come Dario stesso racconta nelle interviste, addolcita anche dal recente arrivo in casa Brunori della primogenita Fiammetta. Ma nelle canzoni non si parla affatto della neonata, tutt’altro. Nei cinque brani ci sono temi attualissimi, raccontati con molta ironia e leggerezza ed affidati ad una produzione scarna, casalinga ed essenziale. Il disco è registrato abbastanza alla buona in una settimana a dicembre e vede la luce a gennaio, anche per il fatto – dichiarato dello stesso cantautore – che se parli di temi contemporanei non puoi aspettare un anno a far uscire le canzoni. 
E allora il dilemma se la donna può essere da pari all’uomo viene esposto e poi lasciato come domanda (“I Beatles o Yoko Ono?”), nella canzone di apertura, per l’appunto Yoko Ono, che ospita un cameo del regista Duccio Chiarini, che scandisce l’interrogativo: “Pole la donna d’oggi permettisi di pareggiare con l’omo? Sì, no…  Si apra il dibattito!”. La seguente Ode al cantautore è una auto-presa in giro della figura proprio di cui Brunori è rappresentante, un po’ alla maniera, già citata da tutti, della gucciniana Avvelenata o di Cantautore di Bennato. Chiaramente la descrizione di Brunori atterra su tematiche legate all’oggi, ma non dico di più, ascoltatela; una specie di auto-dissing come Brunori stesso ha dichiarato. D’altronde maestri come Guareschi insegnano che per fare ironia sana (e magari arrivare all’umorismo) occorre non escludere, anzi, partire da se stessi.



Il terzo brano, Il giallo addosso, affronta una serie di pregiudizi – diciamo – generici sulle etnie, arrivando alla conclusione che i figli sono figli a tutte le latitudini. Semmai il problema siamo noi, come riassume bene un verso della canzone: “Accidenti all’Italia, che non crede più ai santi, non crede ai poeti e nemmeno agli eroi, figurati a noi.” Italiano-Latino è invece un autentico e riuscito divertissement che gioca sull’ambiguità del ‘latino’ inteso come la lingua morta (ed il suo odiato vocabolario) e lo stereotipo del maschio sudamericano tutto muscoli e reggaeton. Come dice lo strampalato finto-spagnolo del testo, una “protesta all’acqua de rosas.”

Conclude il lavoro Figli della borghesia, brano che attraverso un rullo di immagini (e fotocopiando un tantino Canzone contro la paura) descrive sostanzialmente la generazione dell’autore, indulgendo con una certa nostalgia su un tempo ormai andato.

Se guardate il video, rigorosamente low-fi della canzone, potrete anche entrare nel quartier generale analogico che è stato probabilmente il nido di questo mini-album, pieno di suoni veri, di batterie elettroniche vintage, di slide guitar e di quel pianoforte CP80 che vedete accompagnare quest’ultima canzone.

Un prodotto ben riuscito, a mio modo di vedere, al tempo stesso in linea con la velocità di questi tempi, ma con le radici ben piantate in un tempo cui la musica non prescindeva dal farla per davvero, suonando, entrando in una stanza e registrando anche alla buona, pubblicando subito quello che si è fatto prima che invecchi. Certamente occorrono anche album più cesellati, dal suono più raffinato, come è tipico delle produzioni più ufficiali. Dario Brunori lo sa, essendosi affidato negli ultimi lavori alle sapienti mani del produttore Taketo Gohara. Tuttavia questo piccolo lavoro ha il sapore delle cose vere. Si dovrebbe tornare a fare anche dischi così. Qualcuno già lo fa.