Il mercato appare convinto a non fare marcia indietro e l’Italia sembra esserne molto sicura. A poche ore dal tanto atteso verdetto a firma Bce, l’andamento dei rendimenti dei principali titoli di Stato europei registra l’ennesima frenata giornaliera con valori che ci riportano a variazioni percentuali significativamente ridimensionate se contestualizzate al breve arco temporale trascorso. Questo rilievo, purtroppo, si inizia a “prezzare” in veste di nuova caratteristica associabile a ciascun strumento finanziario di natura monetaria al quale il più tradizionale risparmiatore possa rivolgere la sua attenzione. Una novità sottotraccia, una scoperta che potrebbe far desistere dall’agire, un pressoché silenzio che si distingue per il suo rumore di fondo. Una delle più classiche e cosiddette errate aspettative o, in alcuni casi, falsati ricordi.
Gli attuali numeri sono evidenti e la loro entità enfatizza proprio questo con un recente passato circoscrivibile a una manciata di settimane, che individua questa sostanziale differenza. Peccato per i molti potenziali interessati ai quale sfugge tale realtà. Recentemente noi stessi abbiamo sollevato il possibile problema che, se da una parte farà bene alle casse di ciascuno Stato coinvolto, dall’altra parte, invece, vedrà un portafoglio maggiormente ridimensionato in capo all’investitore. Ebbene, i titoli di Stato di oggi non sono più quelli di una volta o, per meglio dire, non sono più quelli di – solo – due mesi fa.
Le indicazioni che provengono dall’osservazione degli indici Euribor a 3 e 6 mesi sono eloquenti: il primo staziona in una fase di continua lateralità confinata a quota 3,90%, il secondo, distinguendosi, ha invertito la propria rotta ritracciando anch’esso a tali valori, ma, provenendo da precedenti massimi ampiamente al di sopra dei quattro punti percentuali.
Un dato sicuramente a favore dei molti, moltissimi detentori di mutui a tasso variabile. Quanto meno in ottica futura. Contrariamente, per tutti coloro che fino a “ieri” impegnavano la loro disponibilità liquida con l’intento di sfruttare tale tesoretto elargito dallo Stato (situazione assai rara), oggi, questo vantaggio è pressoché scemato con una correlazione di causa-effetto decisamente penalizzante.
Guardando unicamente all’Italia, ovvero al nostro mercato domestico quale sinonimo di maggior redditività tra i paesi della Zona euro, a sintetizzare questa resa dei conti sono le recenti aste di titoli di Stato emesse nell’arco delle ultime 48 ore.
Proseguendo con ordine, nella giornata di martedì, abbiamo assistito al collocamento di 7,5 miliardi di Bot annuali con scadenza 13 dicembre 2024 caratterizzati da un rendimento del 3,528% ossia in calo di 33 centesimi rispetto a un mese fa. Anche ieri, due specifiche emissioni per un controvalore emesso di ulteriori 6 miliardi hanno registrato nella rispettive aste un significativo calo: 3 miliardi di Btp triennali (scadenza 15.09.2026) al 3,24% ovvero in flessione di oltre mezzo punto (51 centesimi). Altri 3 miliardi, sempre di Btp, ma con scadenza a 7 anni e beneficiari di un ritorno del 3,63% zavorrato da una variazione negativa dello 0,44%. Complessivamente, in soli due giorni, le casse italiane hanno risparmiato una media di poco inferiore al mezzo punto percentuale alla voce interessi passivi. Tenuto conto del tempo (48 ore) e dell’ammontare in gioco, ci troviamo di fronte a un vero e proprio affare. Per lo Stato.
Guardando oltre e focalizzando l’attenzione alle rispettive curve sulle principali scadenze (2, 5 e 10 anni) risulta evidente la recente dinamica ribassista: ciascun rendimento lascia mediamente alle proprie spalle i massimi dello scorso ottobre ben oltre il 4%, mentre oggi si vedono variazioni percentuali nell’ordine del 3,2% (due anni), del 3,40% (cinque anni) e inferiori ai quattro punti percentuali per la scadenza decennale con quest’ultima reduce da un 4,98% di due mesi fa.
Oggi, le parole della Presidente della Bce Christine Lagarde saranno fondamentali e, guardando a solo quello che il mercato ha finora “prezzato” appare scontato un futuro all’insegna di ulteriori diminuzioni di rendimento.
La realtà è questa ed è davanti a tutti noi. Il tempo dei buoni affari è finito: almeno per i risparmiatori. Per lo Stato, invece, è appena iniziato. Il Natale è anche questo. Regali inaspettati e non per tutti.
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