Dati statistici. Questa la sezione che si può consultare all’interno del sito internet del Dipartimento del Tesoro italiano. Educatamente, con questo nostro «si può», vogliamo suggerire la consultazione della pagina indicata, ma, intimamente, vorremmo, invece, imporre tale consiglio. Noi, infatti, abbiamo dovuto (non voluto) porre l’attenzione a questi cosiddetti “dati statistici” e, pazientando nell’arco delle ultime settimane dell’ormai archiviato anno 2023 abbiamo, poi, soddisfatto il nostro sapere. Una conoscenza, quest’ultima, piuttosto amara o, per meglio dire, avara. Pur essendo “solo numeri”, dietro ogni cifra si intravede, comunque, l’arido cinismo dell’entità che “il dato” rappresenta. Un costo. Decisamente salato.
Rispetto alla modalità di presentazione online adottata dal Dipartimento del Tesoro, noi, invece, vogliamo partire dal fondo riportando questo importante insieme di dati. Trattando di statistiche, come consuetudine, i grafici la fanno da padrone e in questo caso potremmo addirittura esporci nell’affermare che tale voce grossa echeggi al pari di un urlo assordante poiché i singoli tratti grafici identificano un tema spinoso: il debito pubblico italiano.
Attraverso il più classico dei diagrammi a torta si giunge alla prima conclusione: 2.394.108,90 euro è l’ammontare dei titoli di Stato in circolazione al 31.12.2023. Nello specifico, questa zavorra, evidenzia una sua suddivisione tra i seguenti strumenti finanziari: «I BTP rappresentano il 72,77% del totale, seguono i BTP indicizzati con il 7,38%, i CCTeu con il 5,82%, i BOT con il 5,10%, il BTP Italia con il 3,23%, i titoli in valuta con il 1,88%, i BTP Green con l’1,48 %, i BTP Valore con l’1,48 % ed in fine i BTP Futura con lo 0,86%». Complessivamente, la vita media dei titoli (6,97 anni) è pressoché stabile se raffrontata ai 7,04 anni del 2022 mentre, come sempre emerge dalle pagine online del Dipartimento, «Il dato migliora ulteriormente se si considerano anche i finanziamenti europei SURE e NGEU. In questo caso la vita media passa da 7,31 del 2022 ai 7,25 anni di fine 2023».
Ampliando lo spettro dell’approfondimento, questi 2.400 miliardi di titoli (di debito), di fatto, incidono fortemente se commisurati all’intero stock italiano (2.868 miliardi a fine ottobre). Restando nella statistica, questa torta, ci riserva una fetta abbondante. Fin troppo.
Proseguendo nell’illustrazione troviamo, poi, una specifica per gli “addetti ai lavori” o per tutti coloro che, appassionati dal più ostinato purismo, vogliono guardare fino in fondo: «Fra il 2022 e il 2023 il tasso fisso passa da 76,39% a 78,05%, il tasso variabile dal 11,00% all’11,08%, i titoli indicizzati dal 12,61% all’ 10,87%». Sulla base di questi risultanze appare evidente come le casse dello Stato abbiano aumentato la loro potenziale esposizione a una maggiore spesa per interessi, infatti, i cosiddetti titoli a tasso fisso hanno registrato un incremento lieve ma pur sempre di rialzo si tratta.
Ecco, infine, arrivare il più amaro degli ingredienti. Abbandonata la torta, il tratto grafico riconducibile al costo sostenuto dallo Stato, sembra poter essere paragonato al più fastidioso e preoccupante picco glicemico post periodo natalizio: «Il grafico mostra l’andamento del tasso di interesse dei titoli di Stato (media ponderata per i quantitativi) calcolato sulla base dei rendimenti lordi all’emissione dei titoli emessi nel singolo anno. Fra il 2022 ed il 2023, il valore è passato dall’1,71% al 3,76%». Ovviamente, questo valore più che raddoppiato ha rappresentato un beneficio per i risparmiatori mentre, viceversa, per lo Stato un elevato costo: minimamente già sostenuto, ma, ancora in larga parte tutto da sostenere. E qui sorge il paradosso.
Dal commento alle linee guida sopracitato si rileva: «Nel 2023 sono stati emessi complessivamente titoli per un ammontare di poco inferiore ai 516 miliardi di euro, di cui quasi 360 miliardi di euro di titoli a medio-lungo termine e poco oltre 156 miliardi di euro di BOT». Fatta la dovuta tara con i 16,5 miliardi di titoli oggetto di concambio la cifra è prossima ai 500 miliardi ossia un ammontare (troppo) significativo se contestualizzato agli ultimi cinque anni, infatti, solo nell’anno della pandemia (rif. 2020) le nuove emissioni hanno surclassato “soglia 500” attestandosi a quota 550.688 milioni di euro. Allora, però, il costo medio annuo era pari allo 0,59%, oggi, no.
La conclusione che questa fotografia (fin troppo chiara) espone appare oggettivamente evidente: nel 2023 abbiamo assistito a una vera e propria abbuffata, ricca di debito, povera perché pagata a caro prezzo e con ancora un importo rilevante da saldare alla cassa. Presso quest’ultima, inoltre, sembra esserci un ulteriore conto da pagare: sempre debito, nuovo debito, sempre in capo allo Stato italiano. Sempre titoli, ma, per questo nuovo 2024, l’ammontare è diverso: una somma inferiore ai 400 miliardi di euro e a un costo migliore rispetto allo scorso anno.
Insomma, siamo all’inizio dell’anno, è importante essere ottimisti e, in tale veste (decisamente a noi stretta), dobbiamo ammettere che si tratta di un miglioramento e i “dati statistici” serviranno a questo (forse). Buon anno Italia.
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