Dopo la vittoria della Palma d’oro a Cannes e un trionfale successo nei cinema francesi, arriva anche in Italia Entre les Murs di Laurent Cantet. Che da noi, dove esce oggi venerdì 10 ottobre, prende il titolo più semplice ed efficace possibile per un film sul mondo della scuola: La classe. E in effetti si svolge praticamente tutto all’interno della classe in cui opera l’insegnante François Bégaudeau: vero nome dello scrittore, ed ex insegnante, autore del libro omonimo sull’argomento da cui è tratto il film (edito con lo stesso titolo da Einaudi Stile Libero), cui ha collaborato alla sceneggiatura e di cui interpreta il protagonista. Insomma, siamo dalle parti del cinema-verità, quasi un documentario o meglio una docufiction (per dirla con termine alla moda), il tutto agevolato da un attore che fa (o faceva) l’insegnante e studenti che recitano delle parti ma sono in realtà dei veri studenti e non attori in erba. Anche se c’è più cinema in questo film che in tante pellicole che circolano nelle sale. Ma è vero che di documentaristico c’è un elemento: più che una storia classica, con un inizio e una fine, siamo di fronte a uno spaccato di vita di un gruppo costituito da un insegnante e dai suoi allievi. In una scuola media superiore parigina, il giovane ma già abbastanza esperto François si trova a che fare con un gruppo di adolescenti (che segue da alcuni anni ma che vivono, crescendo, una continua e difficile evoluzione) istintivi, strafottenti, quasi violenti; sicuramente ribelli e insofferenti alla sua autorità. Chi si alza ed esce dalla classe, chi risponde male, chi non obbedisce alle richieste del prof (“non ho voglia di leggere” afferma candida una ragazza, suscitando le sue ire). I ragazzi sono di varia estrazione sociale e di diverse etnie, e questo si ripercuote sull’armonia generale: alcuni si guardano in cagnesco, si concepiscono nemici per le rispettive provenienza: salvo allearsi contro il professore in alcuni casi, quasi drammatici…

E attorno all’insegnante non c’è un contesto che lo aiuti: se il preside lo assiste nelle sue richieste disciplinari nessuno prevede una proposta educativa (anche se François ci crede a un insegnamento che non sia solo comunicazione di nozioni), i colleghi sembrano più confusi di lui, smarriti di fronte alle difficoltà, oppure fermi nella riproposizione di una disciplina ferrea ma anacronistica, o ancora astratti nella formulazione di proposte strampalate (c’è chi propone una patente a punti dello studente, a ogni infrazione via un punto fino all’espulsione). In tutto ciò, François si batte per il recupero dei ragazzi e contro la loro stessa ingratitudine. Ma vien da pensare che da solo non ce la farà: perché lui cerca il dialogo, ma non funziona; prova ad affermare la sua autorità, ma con scarsi risultati. Soprattutto, vorrebbe “giocare” con i ragazzi sul piano della loro umanità, che cerca in tutti i modi di far emergere (e, in certi momenti, con qualcuno ci riesce). Nessuno però gli fa compagnia nel suo pur apprezzabile tentativo. Anche se il finale sembrerebbe conciliatorio: ma non lo è, come dimostra l’ultima, amara, commovente battuta di una ragazza sfiduciata da se stessa e dalla scuola, e fino ad allora quasi invisibile perfino per il bravo professore… In un film apprezzabile dal punto di vista cinematografico – per nulla claustrofobico nonostante sia tutto in un luogo chiuso, e sapiente nella gestione del ritmo e della tensione crescente – Laurent Cantet si conferma (come nei primi film Risorse umane e A tempo pieno, sul mondo del lavoro) regista sincero, appassionato e sensibile, abile nell’evitare la retorica ma anche uno sguardo cinico e distante. E se il tema “multietnico” interroga chi vive nella scuola italiana, lo è ancora di più il livello educativo: film da consigliare e far vedere a insegnanti e studenti (e genitori), magari insieme e discutendone, La classe chiede a chi ha responsabilità educative di mettersi in gioco. Non cercando un modello che non c’è, e che non pretende nemmeno di essere (semmai, c’è più l’ammissione di un’impotenza: e qui si vede la distanza da film “retorici” o discutibili del passato, uno su tutto L’attimo fuggente).

Ma affrontando con serietà le domande che pone, con sorprendente e disarmata onestà.