L’uscita nelle sale di Wall-E, l’ultimo prodotto della Pixar, è l’occasione (prima di parlare del film) per spendere due parole su questa casa di produzione, fondata nel 1984, che poco alla volta è arrivata a porsi come punto di riferimento per tutti quelli (a Hollywood ma anche altrove) si occupano di animazione. E non si può capire la Pixar – il cui nome deriva dall’unione delle parole pixel e art – senza partire da John Lasseter, l’uomo che ha contribuito in maggior misura a rendere la società quello che è oggi. Appena diplomato Lasseter cominciò ad approfondire l’animazione tradizionale lavorando direttamente negli studios Disney, ma col desiderio di trovare qualcosa di nuovo. Nell’81 assistette alla produzione del film Tron e vide alcune sequenze in computer grafica. Colpito dalle potenzialità del mezzo creò un test di 30 secondi che combinava personaggi e oggetti disegnati a mano con un’ambientazione completamente generata al computer. Ma l’indifferenza dimostrata dalla Disney spinse Lasseter a passare alla Lucasfilm di George Lucas per creare film interamente digitali, mirati a un pubblico non di soli bambini, ma in grado di reggere il confronto con produzioni live action come Star Wars. Nell’83 Lasseter raggiunse il nucleo da cui ebbe origine la Pixar: il dipartimento di ricerca dell’Industrial Light and Magic, una sezione del nascente impero di George Lucas che si era occupata di sviluppare l’apparato tecnologico per gli effetti visivi di Star Wars e Star Trek II. Per volere dello stesso Lucas, i laboratori stavano concentrando le loro forze per usare l’informatica non solo per gestire e manipolare le immagini, ma per crearle direttamente sugli schermi dei computer.
La svolta fu la nascita, nel 1984, dei primi personaggi di sintesi, che devono la loro paternità proprio a John Lasseter. Si tratta dei protagonisti di Le avventure di André e Wally B., il primo cortometraggio di animazione generata interamente grazie alla tecnologia elettronica. Nel 1986 Steve Jobs, fondatore della Apple Computer e attuale CEO della Pixar, rileva il dipartimento della Lucasfilm e decide di dedicarsi solo ad opere digitali. Dall’86 la Pixar ha collezionato un considerevole numero di premi e riconoscimenti internazionali, ma l’accordo che avrebbe segnato la storia del piccolo studio fu quello che nel ‘91 la Pixar stipulò con la Walt Disney per lo sviluppo e la co-produzione di tre lungometraggi, poi rinnovato per ulteriori cinque e che scadeva con la realizzazione di Cars. I lungometraggi realizzati dalla Pixar e distribuiti dalla Disney cominciarono nel 1995 con Toy Story, la storia di un bambolotto vestito da cowboy e dei suoi amici giocattoli. Costato “solo” 30 milioni di dollari ne incassò quasi 200 negli USA e più di 150 solo dall’home video americano. Risultati altrettanto impressionanti per i film successivi: Megaminimondo – A bug’s life (1998), la storia di una formica che per evitare che le cavallette si mangino il raccolto si rivolge a un gruppo di insetti artisti di strada. Toy Story 2; poi Monsters & Co. (2001): la storia dei due amici mostri (doppiati per il pubblico di lingua inglese da Billy Crystal e John Goodman), che per quanto bizzarra incontrò subito il favore del pubblico di grandi e piccini.
Ma il successo più clamoroso doveva ancora arrivare. Spinto da una campagna pubblicitaria vastissima e con un merchandising capillare, Alla ricerca di Nemo (2003), con la sua storia del piccolo pesce pagliaccio che dalla barriera corallina va a finire nell’acquario di un dentista di Sidney, e del padre che va a cercarlo in compagnia di una pesciolina totalmente smemorata, superò tutti i record. Costato 94 milioni di dollari ne incassò 70 subito nel primo weekend, 340 in totale negli USA e vinse anche l’Oscar come miglior film di animazione. E dopo, ancora Gli Incredibili, Cars e Ratatouille. Con l’uscita nelle sale di Cars, l’accordo con la Disney andava a scadere, e qui si è verificato l’inatteso colpo di scena. Il settore animazione della Disney da anni non godeva di buona salute. Si può dire che l’ultimo grande trionfo prodotto dalla casa di Topolino è stato Il Re Leone (1994), ma quello che era stato uno dei più grandi studios di Hollywood soffriva la concorrenza non solo della Pixar, ma anche della Dreamworks di Steven Spielberg o della Fox che rispettivamente con le serie di Shrek e de L’era glaciale avevano avuto ottimi risultati al box office. Così la Disney, alla quale non difettano i capitali, ha fatto una scelta radicale: riconoscendo il talento per quello che è, ha comprato la Pixar, ma ha messo i suoi fondatori Lasseter e Jobs nel proprio consiglio d’amministrazione, nella certezza che chi ha portato alla fama la Pixar potrà levare dalle secche anche la Disney.
E se Ratatouille oltre a far divertire, sapeva parlare ai bambini come agli adulti (una caratteristica che distingue i film Pixar da tutti gli altri), con Wall-E Lasseter e la sua banda sono riusciti a ricreare ancora una volta un piccolo capolavoro: la storia del piccolo robot spazzino che da settecento anni è rimasto sulla terra ad ammucchiare immondizia va ben oltre la favola ecologica. Il piccolo Wall-E compatta rottami, rifiuti e spazzatura, e in tutto questo trova piccoli tesori che intuisce abbiano un senso, che però lui non conosce; e tutta la sua vita di macchina è determinata dall’attesa di qualcuno o qualcosa che gli spieghi tutte queste cose affascinanti e misteriose (una lampadina, un accendino, un vecchio cubo di Rubik e così via). Ma soprattutto Wall-E anela a chi possa mettersi in rapporto con lui e tenerlo per mano, come ha visto fare dagli umani in una vecchia videocassetta di un musical. E per qualcosa che assomiglia molto a un miracolo, viene esaudito, in maniera inaspettata, commovente e anche molto avventurosa.