Blood Diamond – Diamanti di sangue (Usa, 2006)
di Edward Zwick con Leonardo Di Caprio, Jennifer Connelly, Djimon Hounsou
La Sierra Leone, assieme al Sudafrica, è uno dei paesi africani più ricchi di giacimenti diamantiferi. La lotta per il loro controllo (che vede le aziende americane in prima fila, vista la posizione di primi acquirenti nel mondo), ha scatenato negli anni ’90 una sanguinosa guerra civile. Nei combattimenti che hanno coinvolto tutto il paese, i rivoluzionari si sono distinti per crescenti efferatezze, delle quali una delle più odiose è stato il rapimento di bambini. Questi sono stati costretti, spesso con la somministrazione di stupefacenti, a imbracciare il fucile e diventare, più che soldati in erba, vere macchine per uccidere.
È solo uno dei grandi drammi del continente africano, si pensi al Darfur ai giorni nostri o alle elezioni farsa in molti stati che si proclamano democratici, ma il coinvolgimento dei bambini ne ha fatto un caso emblematico.
L’unico che però si è occupato di questa tragedia è l’americano Blood Diamond – Diamanti di sangue. Girato con tutta l’abbondanza di mezzi di un kolossal hollywoodiano (il regista Edward Zwick è lo stesso de L’ultimo samurai con Tom Cruise) il film vorrebbe inserirsi nella scia di opere significative come Hotel Rwanda, uscito nel 2004, che mettono tragicamente in scena la situazione odierna dell’Africa, con le sue contraddizioni interne, le brame delle multinazionali, il sincero desiderio di pace di molti dei suoi abitanti, ma anche la crudeltà di popolazioni attratte dal miraggio della ricchezza e attratte dalla sopraffazione come via più veloce per ottenerla.
Il film però, ad onta delle sue buone intenzioni, ha molti limiti oggettivi. I personaggi del film attingono al più classico dei repertori e, per certi versi, sembra di rivedere certi vecchi film degli anni ’40 con Humprey Bogart: Leonardo Di Caprio è un contrabbandiere e mercante d’armi della ex Rhodesia nello splendore dei suoi 30 anni, ha l’aspetto di un duro e disincantato avventuriero, ma da subito si arguisce che tirerà fuori il suo cuore tenero. Jennifer Connelly è la giornalista bella e impegnata, consapevole che le sue corrispondenze di guerra avranno pochissimo spazio nei notiziari, più interessati al meteo o alla partita di football; Michel Sheen è uno spietato mercenario. E per finire Djimon Hounsou interpreta un pescatore del luogo che chiederebbe solo di vivere la sua vita e permettere al figlio di studiare.
Le storie di questi personaggi corrono parallele, con sporadici incroci, fino a quando i ribelli che aspirano a scalzare il governo nel controllo dei giacimenti, in una sorta di retata in un villaggio, rapiscono il figlio del pescatore e riducono il padre a schiavo. Questi è costretto a scavare nelle miniere di diamanti, fino a quando non scoprirà un enorme e preziosissimo diamante rosa. A questo punto tutti dovranno vedersela da ribelli, soldati di ventura sudafricani, bambini abituati a sparare senza motivo, mercanti europei di pietre preziose e bombardamenti vari, girati spesso con una colonna sonora che li fa somigliare alle sparatorie tra gang rivali di rapper di Los Angeles.
Il film ha molti difetti, tipici delle grandi produzioni: troppe storie che si rubano spazi l’una con l’altra, una descrizione dei personaggi legata ai clichè, molta retorica dei buoni sentimenti, troppa violenza, ostentata con immagini, rumore e musica. Però bisogna dare atto che anche con questi limiti evidenti Blood Diamond – Diamanti di sangue, grazie anche all’esperienza e al mestiere degli interpreti, è profondamente credibile e può aiutare a portare alla conoscenza dei tanti indifferenti il dramma dei bambini-soldato, costringendo magari a farsi qualche domanda sulla provenienza di tante pietre preziose che appaiono nelle pubblicità più glamour dei paesi industrializzati.