Come ampiamente previsto, è Gomorra di Matteo Garrone il film che rappresenterà l’Italia nella corsa ai prossimi premi Oscar. Che poi, come forse non tutti sanno, significa semplicemente concorrere – insieme ai rappresentanti di oltre cento nazioni – alla statuetta forse meno importante per l’industria hollywoodiana: l’Oscar per il miglior film straniero, anzi in lingua straniera. Giacché i film in inglese, non solo americani ma anche britannici, neozelandesi, australiani o perfino europei ma nella lingua parlata dagli anglossassoni possono, se vogliono, cimentarsi in tutte le categorie. Ipotesi non preclusa, peraltro, anche a film italiani o cinesi: e infatti, oltre al miglior film “straniero”, una decina d’anni fa prima La vita è bella (che vinse anche per le musiche e con Roberto Benigni miglior attore) e poi con La tigre e il dragone di Ang Lee portarono a casa nomination e statuette più pesanti.
Come dice il più importante critico italiano, insomma, le “altre” cinematografie sono invitate come ospiti a un banchetto di cui assaggiano solo le portate minori. Anche il vincitore, non è detto che sarà mai visto in America, dove non amano i film sottotitolati ma nemmeno il doppiaggio di film non americani. Però, nella storia, questa statuetta “minore” è stata fondamentale per la fama internazionale di grandi come Federico Fellini o Vittorio De Sica (4 vittorie a testa), mentre le carriere Gabriele Salvatores (Oscar per Mediterraneo) e soprattutto di Giuseppe Tornatore (vincitore con Nuovo cinema Paradiso), forse più amato negli Usa che in Italia, sono state fortemente aiutate da questo premio.
Quest’anno, quindi, ci rappresenta Gomorra. Un verdetto appunto previsto, anzi scontato. Non che non mancassero altri film forti: solo cinque titoli erano stati candidati dai rispettivi produttori, proprio per il pronostico favorevolissimo al film di Garrone, a sua volta “favorito” dal proprio produttore Domenico Procacci che ha preferito non presentare anche Caos calmo (il film con Nanni Moretti di cui si parlò a inizio anno per settimane soprattutto per una celebre sequenza “a luci rosse”). Tra i pochi coraggiosi che hanno sfidato la pellicola tratta dal libro-inchiesta di Roberto Saviano, a parte il “piccolo” (e senza chance) Cover Boy di Carmine Amoruso, in altre annate avrebbero avuto maggiori possibilità il controverso Divo di Paolo Sorrentino, il “sociale” Tutta la vita davanti di Paolo Virzì (che però chiudeva male un film per due terzi molto interessante) e il pregevole Giorni e nuvole di Silvio Soldini. Ma la scelta di Gomorra, oggettivamente, è perfetta. Per vari motivi. Dal punto di vista “tattico”, primo criterio con cui la commissione di esperti (la maggior parte produttori, ma anche registi, critici, tecnici) si muove, è il film meglio indicato per entrare nei cuori degli oltre seimila votanti, che sono i più potenti personaggi dell’industria hollywoodiana (oggi prevalgono gli attori, ma sono numerosi anche i registi, i produttori, i musicisti, gli sceneggiatori, i direttori della fotografia, i montatori…). Insomma, ha più chance di essere selezionato per la cinquina finale (le famose nomination) e poi vincere l’ambita statuetta: perché parla – pur con modalità ben diverse dal solito – del fenomeno mafioso nel sud Italia, su cui la stessa Hollywood ha prodotto centinaia di film; perché quindi conferma un pregiudizio (ahinoi) su un’Italia meridionale cafona, disperata e violenta ma comunque amata dagli americani (non dimentichiamoci i tanti personaggi influenti che provengono dal nostro Sud: Robert De Niro e Al Pacino su tutti); perché rinnova una tradizione di cinema “impegnato” che negli anni 60 e 70 ci ha reso ancora più famosi nel mondo (dopo il Neorealismo e la commedia all’italiana). Altro fattore importante: il secondo premio vinto a Cannes l’ha già laureato a livello internazionale: anche se il film che lo sconfisse, il francese La classe, potrebbe essere un osso duro anche agli Oscar (e ci sono altri concorrenti forti).
In secondo luogo, Gomorra è stato scelto semplicemente perché è un gran film, dal punto di vista strettamente cinematografico: non a tesi, non ideologico (con il Bene e il Male divisi con l’accetta), girato magnificamente – a tratti sembra uno di quei film che una volta faceva Martin Scorsese – da un regista giovane (ha 40 anni) ma già al suo sesto film, che entra nell’anima dei personaggi e rende il degrado, la malvagità e i (rari) slanci umani in modo asciutto e non retorico. E il fatto di aver puntato su interpreti presi dalla strada (anche dalla stessa malavita) e su pochi attori professionisti non famosi, eccetto l’enorme Toni Servillo, è un pregio in più.
Infine, con Gomorra l’Italia ritorna al centro dell’attenzione mondiale per gli scandali della monnezza di Napoli, della criminalità in tutta la Campania, delle peggio cose che ci fanno vergognare spesso di essere italiani (e napoletani, come lo è di origine chi scrive). Lo fa sommessamente, non urlando indignazione, per l’inferno di Scampia e dintorni. Ma quella violenza oscena, quella rivoltante negazione dell’umano non è contemplata con compiacimento o cinismo. È un affresco realistico e sofferto, su quanto può scendere in basso l’uomo quando si dimentica di esserlo. E parlarne apertamente, senza paura, anche con un film può essere l’inizio del riscatto.