Era il film che doveva laureare il ritrovato Mickey Rourke miglior attore protagonista dell’anno agli ultimi Oscar. E il film stesso meritava maggior considerazione tra le migliori pellicole. Poco male: The Wrestler, firmato dal giovane talento Darren Aronofski (che per la prima volta non si perde in storie surreali e cervellotiche ma sta attaccato a una storia di un realismo sorprendente) non solo ha vinto il Leone d’oro alla Mostra di Venezia – il nostro festival principale ha “toppato” rifiutando – come dicono – The Millionaire, ma ha laureato questo film ancora più bello – ma è uno dei capolavori dell’anno.
Randy Robinson, detto “The Ram” (l’ariete), è un ex campione di wrestling rovinato dai combattimenti e dagli eccessi. Ingrassato, alcolizzato, lasciato da moglie e figlia, vive in una roulotte in perenne miseria e allietato solo dall’amore mai venuto meno dei fans nonostante siano passati vent’anni dalle sue imprese. Per vivere e per assaporare ancora briciole di fama, alterna a lavori saltuari scontri con vecchi colleghi e anche Atleti più giovani. E quando si avvicina l’ipotesi di una rentrèe con il rivale di sempre detto “l’Ayatollah”, un infarto lo costringe a fermarsi. Cerca allora di riavvicinare la figlia, mentre un nuovo amore fa capolino nella sua vita. Ma ogni volta che ci riprova, sempre torna a morderlo il demone dell’autodistruzione.
Nel cinema americano pochi temi sono così popolari come la caduta e rinascita dell’eroe dissoluto, meglio ancora se sportivo e se il finale è decisamente lieto o quanto meno di speranza verso il futuro. Meno frequenti, ma non rari, i film in cui il “redento” torna a cadere nel suo inferno di dolore e disperazione. Dal punto di vista della storia, The Wrestler non presenta enormi novità e alcuni snodi narrativi sembrano già visti: la tristezza per la fama ormai lontana, le persone vecchie e giovanissime che però ancora riconoscono il vecchio eroe in disarmo, le frustrazioni e le amarezze per le mortificazioni che la vita misera e squallida riservano nel presente, la possibilità di una seconda occasione dovuta a un nuovo amore o a un affetto in famiglia.
Nella parabola del campione di wrestling (violentissimo sport, peraltro alquanto finto quanto una parodia dell’agonismo vero) interpretata in maniera eccezionale da Mickey Rourke ci si vede in controluce quella del celeberrimo Rocky di Sylvester Stallone ma in maniera decisamente più tragica; il parallelo più calzante è in effetti con The Champ di Zeffirelli, interpretato a fine anni 70 da Jon Voight, di cui sembra quasi il remake ma con stile completamente diverso. Il tasso di violenza è molto superiore in questa storia di un perdente in cui Rourke mai così bravo ci mette dentro tutta la sua esperienza di ex pugile (la boxe contribuì a devastare anima, corpo e lineamenti, ormai irriconoscibili, del divo sexy per antonomasia degli anni Ottanta, consacrato da Nove settimane e mezzo) e la sua esistenza di degrado e squallore, di droghe e di esperienze sentimentali fallimentari.
The Wrestler è un film duro e disperato, che racconta lo squallore e il disfacimento di un’esistenza nonostante mille sforzi per ricominciare; ma rimangono nel cuore non tanto le brutture, quanto la commozione nella descrizione del rapporto di un padre con la figlia che lo vuole cancellare dalla sua vita e di un possibile amore con una ballerina e di lap dance che nutre sentimenti profondi per Randy.
The Wrestler conferma che ancora una volta il cinema americano ha in sé la capacità di raccontare storie universali: anche chi detesta o evita con (giusta) indifferenza una cosa insensata come il wrestling, grazie a una sceneggiatura ricca di sensibilità, a uno stile semplice ma coinvolgente e e a ottimi attori (la grande Marisa Tomei e la giovane Evan Rachel Wood affiancano con misura il vulcanico Rourke) rimarrà toccato da un film che rimane nel cuore, indimenticabile come l’ultima, tragica, eccezionale sequenza finale che anticipa l’emozionante ballata del Boss Bruce Springsteen composta appositamente.