Forse la cosa meglio riuscita di questa pellicola di Paul McGuigan (autore del mediocre Slevin – Patto criminale) è l’essere ambientato a Hong Kong, una città raramente toccata dai film occidentali, ma perfetta nel rendere quel senso di “claustrofobia da affollamento” tipico di una megalopoli come quella orientale. Nella città cinese vive il protagonista Nick (Chris Evans, l’Uomo Torcia dei Fantastici 4), un uomo solitario e sempre in fuga, anche a causa dei suoi poteri straordinari: è infatti capace di spostare gli oggetti con la forza del pensiero. Fa parte di una ristrettissima cerchia di persone capaci di prevedere il futuro, o di muovere gli oggetti, di influenzare il comportamento delle persone, di occultare un fuggitivo, di guarire e di distruggere.



Per primi furono i nazisti a cercare di trasformare queste persone in armi, ma senza esito. Dopo di loro tutti i governi, attraverso strutture segrete e spietate (chiamate le “Divisioni”), hanno voluto usare queste persone, rapendole, manipolandole e spesso uccidendole in nome della ragion di stato. Non senza sacrifici, in quanto gli stessi medicinali usati per incrementare i loro poteri finiscono anche per ucciderli.



Ma un giorno una ragazza, miracolosamente sopravvissuta a una di queste iniezioni letali, sfugge da un laboratorio e inizia una fuga forsennata, aiutata da una veggente tredicenne e da un ex fidanzato eroe suo malgrado (il protagonista di cui dicevamo all’inizio). Sulle loro tracce, nelle congestionate strade di Hong Kong, sicari inviati da governi di tutto il mondo, oltre al più potente dei pusher (Djimon Hounsou), che non sono degli spacciatori, ma persone in grado di manipolare le menti degli altri uomini e spingerli (push) a compiere gesti contrari alla loro normale volontà.

Il film di Mc Guigan a questo punto sembra accumulare le citazioni, che anche gli spettatori meno esperti non faranno fatica a riconoscere: si va dall’ormai ultra sfruttato Matrix al recente Jumper (per quanto riguarda le possibilità di spostamento), dagli X-Men alla fantascienza anni ’70, ma anche qualche riferimento alle serie tv come Heroes non manca.



Da ultimo, una valigetta misteriosa tale e quale a quella di Pulp Fiction. Alfred Hitchcock lo chiamava “MacGuffin”: un espediente per catturare l’attenzione dello spettatore su un oggetto che passa di mano in mano, ma il cui contenuto è assolutamente indifferente per la storia.

Il problema di Push è però che i MacGuffin sono un po’ troppi: dai personaggi di cui non si capisce il ruolo a quelli le cui decisioni sono praticamente incomprensibili.

Tutto nel film sembra poco chiaro, a partire dal passato e per finire al futuro, che nelle previsioni della veggente (la giovane Dakota Fanning, quasi sempre in preda a crisi isterico-adolescenziali) è in continuo mutamento, il che rende vano tutto il suo profetare. A bilanciare questa mancanza di logica e i molti buchi della sceneggiatura, ci sono i molti e ben realizzati effetti speciali (ormai anche i film con pochi mezzi hanno spesso ottimi effetti speciali), che alla fine rendono Push un prodotto adatto probabilmente ai giovani appassionati di videogiochi d’azione.


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