Deve veramente tirare una brutta aria a Hogwarts se (strano ma vero) Harry Potter sembra preferire di gran lunga vivere e confondersi tra i “babbani”, gli umani normali. Gente magari poco interessante, ma da cui non deve forzatamente guardarsi, che sembra apprezzarlo per quello che è e non per le sue doti magiche; come la giovane e carina cameriera di un bar che gli rivela a che ora finisce il lavoro.

Ma Albus veglia su Harry (e addio al romantico rendez-vous), e gli fa conoscere il nuovo insegnante di pozioni, il professor Lumacorno, che possiede informazioni che potrebbero essere di vitale importanza nella lotta contro Lord Voldemort; ma Lumacorno è reticente e Albus Silente affida nuovi e difficili compiti a Harry.

Non è facile parlare col distacco dovuto di questo film (il sesto) della serie di Harry Potter. La maggior parte dei critici cinematografici non ha letto i libri, la maggior parte dei lettori fa fatica ad accettare che il film sia “solo” un film e come tale debba rispettare alcune esigenze (non ultima, quella del fondoschiena dello spettatore, che deve starsene seduto per due ore e mezza abbondanti).

Così questi due mondi fanno spesso fatica a incontrarsi e capirsi.

Visto che però il sottoscritto si è letto (senza averne l’obbligo e con gusto) tutta la serie, e nonostante debba assistere a centinaia di film all’anno, non si è perso nessuna delle sei pellicole dal 2001 a oggi, confida di essere abbastanza obbiettivo. E quindi, cominciamo con una delle critiche più ripetute dai recensori di Harry Potter e il Principe Mezzosangue: il film è cupo, gotico, sinistro.

È vero, ma chi ha letto il libro sa che la drammaticità della situazione a Hogwarts e per tutti gli umani (maghi o babbani che siano) peggiora di giorno in giorno, nonostante le ripetute vittorie di Harry Potter, che proprio in questo capitolo della storia prenderà consapevolezza di essere “il prescelto” per combattere il Signore del Male. Fedele a questa impostazione, il film sceglie una tavolozza dai colori smunti, lividi, evanescenti. I complicati corridoi scolastici non risuonano più delle risate e degli schiamazzi, ma di frasi smozzicate dette a bassa voce. Per la prima volta, Harry Potter non si dimostra più disobbediente o insofferente alle regole, capiusce che la fedeltà a Silente è la cosa più importante, ora. Unica trasgressione, un libro di pozioni fitto di chiose e appunti utilissimi, che lo fanno diventare il preferito di Lumacorno, che alla fine gli rivelerà quel ricordo che ha taciuto per anni.

L’atmosfera sinistra facilità inoltre l’uso degli effetti speciali, che sono tanti e ben dispiegati: dalle perturbazioni atmosferiche che rivelano l’inquietante silhouette del Nemico, ai repellenti abitanti delle tenebre, all’uso di luci e ombre. Per non parlare del ritorno del Quidditch, che mancava ormai da alcuni film e che qui si dispiega in tutta la sua forza e velocità.

D’altra parte, Harry Potter e il Principe Mezzosangue è anche il film che, più di tutti gli altri, riesce a tenere un tono leggero in tutta questa desolazione.

I protagonisti sono ormai giovanotti, Harry è innamorato di Ginny Weasley, Hermione del fratello Ron Weasley. I quattro ovviamente si comportano come tutti i loro coetanei: fanno cose stupide, hanno un’aria perennemente rimbambita e sognante, non sanno valutare tempi e modi, rischiando a ogni minuto di mandare a gambe all’aria un futuro che a tutti sembra palese. In molti punti la risata del pubblico scatta sincera.

In definitiva: questo Harry Potter è evidentemente un film “di passaggio”, che lascia col fiato sospeso e la sensazione di non aver ancora assistito a niente di rilevante (d’altra parte, i terribili avvenimenti dell’ultimo libro sono tanti e tali che verranno spalmati su due film).

A uno sguardo più attento vedremo però che questa sesta prova poggia su solide basi, e che se qualche appunto si può sollevare è forse su alcune sottotrame che potevano essere trascurate in favore della storia principale. Di certo (e gli appassionati spero non me ne vogliano), in un cast di ottimi e maturi attori come Rickman, Gambon, Broadbent, per fare alcuni nomi, che si mescolano perfettamente coi più giovani, la figura più debole è proprio Radcliffe. Se non fosse che ormai Harry Potter è lui, dubito che qualsiasi regista lo sceglierebbe solo per le sue capacità recitative e per la sua presenza scenica.