In questa ultima puntata continuiamo ad analizzare le sorprese della stagione. Piccoli film che in qualche caso si sono fatti notare, per un premio o per il passaparola del pubblico che lo hanno reso un piccolo caso. O che invece sono spariti nell’anonimato dopo una fugace uscita al cinema e aspettano qualcuno che li riscopra.

Stavamo parlando di due film israeliani. Il primo, di cui ho parlato la scorsa puntata, è Qualcuno con cui correre. L’altro, ancora con il contrasto con i palestinesi in primo piano, è Il giardino di limoni: il ministro della Difesa israeliano si trova come vicina della sua nuova casa una donna palestinese, e per motivi di sicurezza ordina di abbattere il suo bellissimo giardino di limoni, eredità paterna e sua fonte di sussistenza. Lei resiste, ma la sua lotta è osteggiata dagli stessi connazionali. Mentre la moglie del ministro mostra dubbi sulla condotta del marito e simpatizza per la “nemica”. Interessante, un po’ schematico ma senza togliere verità ai contrasti, ai caratteri e alle sfumature; e il saluto muto tra le due donne è un’immagine forte.

L’attrice palestinese, la grande Hiam Abbas, la ritroviamo anche in un piccolo film americano, L’ospite inatteso, in cui un professore universitario rimasto vedovo trova due giovani immigrati clandestini che si sono installati in una casa da lui poco usata. Ne nascerà un’amicizia basata sulla solidarietà: niente di originalissimo, ma una sobrietà espressiva trattenuta che a tratti emoziona, e alcune scelte felici come quella del suonare insieme lo strumento a percussione chiamato “jambè” per avvicinare due persone molto diverse tra loro. E un protagonista, il finora solo caratterista Richard Jenkins, intenso e misurato come le grandi star.

Ma non ci sono solo le sorprese “drammatiche”: anche alcune commedie sono da riscoprire. È stata un bel successo a sorpresa Un matrimonio all’inglese: negli anni 20 un’americana porta scompiglio in una ricca e nobile famiglia inglese di cui vorrebbe sposare il rampollo. Creerà disastri ed equivoci a non finire. La storia è così così, e il finale lascia l’amaro in bocca, ma l’umorismo (britannico, of corse) è frizzante e tagliente, i dialoghi brillanti e il ritmo trascinante. Niente a che vedere con il purismo di certi film inglesi in costume: come un’esilarante caccia alla volpe rovinata dall’americana in sella a una moto, e sulle note “fuori sincrono” di Sex bomb…

Un po’ italiana è l’origine, invece, di Machan: diretto da Uberto Pasolini (produttore italiano che lavora da sempre all’estero e soprattutto in Inghilterra, cui si deve il grande successo di Full Monty, e ora al debutto alla regia),è la storia tragicomica di un gruppo di immigrati clandestini dallo Sri Lanka in Europa, che si spacciano per la nazionale di pallamano del proprio Paese per sbarcare nel Vecchio Continente: solo che il gioco, sconosciuto, li appassionerà… Prima di sparire ognuno in cerca di fortuna. Divertente, con qualche nota di sentimento.

Tutt’altro genere di commedia è Ghost Town, che fin dal nome tradisce la sua essenza: una commedia “con fantasmi”. Un dentista misantropo rimane tra la vita e la morte per sette minuti, durante un’operazione: ripresosi, acquista la capacità di vedere fantasmi che vagano sulla Terra, anime in pena in cerca di qualcuno che soddisfi un loro desiderio. Un fantasma è particolarmente pressante: il povero dentista solitario dovrà evitare che la vedova del defunto (fedifrago) sposi in nuove nozze un impostore. Finché si innamorerà davvero di lei… Semplice la storia, divertenti le situazioni, e alcune gag da lacrime agli occhi (ma anche un tocco di romanticismo e commozione nelle speranze umanissime dei morti di risolvere problemi e drammi ai propri cari): niente di eccezionale, ma se ci si sintonizza sul “clima” del film la serata scorre piacevole.

Per concludere in bellezza la nostra rassegna lasciamo la commedia e dirigiamoci su un bel film di una giovane regista francese Sylvie Verheyde: Stella, che è il nome di una ragazzina che dal nord della Francia segue i genitori nella poco ospitale Parigi; e mal sopporta i ricchi figli di papà della sua scuola, reagendo con atteggiamenti violenti che si sommano alle carenze scolastiche. Tutto sembra andar male, a un certo punto, compresi litigi e tradimenti dei genitori: se non fosse che irrompe Gladys, goffa figlia di ebrei argentini – siamo negli anni ‘70 – scappati dal proprio Paese per sfuggire alla dittatura. Gladys le offre amicizia e la introduce alla passione per i libri: due chiavi di volta in grado di sbloccare Stella che alla fine dirà alla nuova amica la parola più dolce del film, “grazie”. Una storia di crescita, che ha il pregio di indicare non solo fatiche e contraddizioni ma anche una prospettiva al disagio.