Dalle pagine del Corriere della Sera è arrivata, severa e inattesa, una bacchettata pesante al “prete” di Carlo Verdone. Vittorio Messori non si è fatto incantare da una certa aria, conciliante e un po’ buonista, che scorre soprattutto nel finale, e ha parlato di scetticismo, nichilismo, mancanza di speranza.

Nel suo nuovo film, Io, loro e Lara, il comico e regista romano è in effetti un sacerdote, missionario in Africa: padre Carlo. Figura e film sono stati apprezzati anche da alcuni uomini di Chiesa (Verdone ha parlato di «vertici della Conferenza Episcopale», Messori ha avuto facile gioco nell’ironizzare: ai “vertici” della CEI avranno ben altro da fare, ad approvare il film saranno stati alcuni sacerdoti “specializzati” nel cinema): il sacerdote non è una figura grottesca come in altre pellicole verdoniane (e lui un po’ ci ironizza, quando imita certi “preti con le voci flautate delle fiction tv”: ma vengono in mente anche le sue parodie…), e non ci sono eccessive “scorrettezze”.

Per capirsi, avendo una giovane e bella figliola come Laura Chiatti al fianco si potevano temere derive sentimentali. E invece non solo don Carlo respinge le avance (scherzose) della giovane Lara/Laura, ma anche di una psicologa di mezza età (la spiritosa Angela Finocchiaro) che vede in lui il sosia del defunto marito.

Tutto bene, dunque? No, sostiene Messori, perché pur con garbo il film presenta sì una sensibilità religiosa forse retaggio di un’educazione più o meno lontana, ma non è affatto cattolico. Non tanto per volgarità (che ci sono) che sono più di linguaggio che di situazioni veramente sconvenienti. E in fondo neppure per la banalità di fondo di temi importanti: il dramma dell’Africa, la crisi di fede del sacerdote, che dal “continente nero” torna a Roma per cercare conforto nei superiori e che si trova invece immerso nei problemi di una famiglia sopra le righe, anche certi accenni di critica alla Chiesa (la solita questione “preservativi e Aids”) sono in effetti scontati e approssimativi.

E nella parte “positiva” questo prete non va oltre un sano buon senso, un buonismo edificante. Questo, a grandi linee, sostiene Messori: e non si riesce a dargli torto.

 

Da Carlo Verdone si possono pretendere divertimento (a volte) e buona direzione degli attori (ci sono comprimari, come Anna Bonaiuto, Marco Giallini e la già citata Finocchiaro, che strappano gli applausi), non profondità su temi che oltre tutto non padroneggia. Ma le accuse dello scrittore cattolico alla parte finale del film (che cercheremo di non svelare del tutto), non ci convincono: la missione “romana” del sacerdote è stata un disastro e la sua famiglia disfunzionale non è per nulla cambiata; tutti rimangono con i loro, pessimi, difetti. Non è proprio così.

 

Il possibile, e giustificato, equivoco in cui si rischia di cadere di fronte a Io, loro e Lara è concentrarsi sulla figura del prete. Che pare davvero solo un pretesto forzato per attirare l’attenzione (con la Chiesa come possibile bersaglio funziona sempre): se il Carlo che torna dopo anni in famiglia fosse un professore universitario che insegna negli Usa la storia starebbe in piedi lo stesso. Peraltro, anche il prete (pur di ben altro spessore, come di ben altra qualità era quell’ottimo film) di Nanni Moretti in La messa è finita era un laico in abito casualmente talare.

 

Come prete il don Carlo verdoniano – che pure il regista definisce una «brava persona, etica (sic…)» – non è né credibile né di aiuto a nessuno. Anzi, rischia solo di far danni pur se animato da buone intenzioni. Ma l’aspetto interessante sta, a nostro avviso, altrove: pur con il sentimentalismo che contraddistingue anche le sue opere migliori e meno grevi (e questa, nonostante alcuni soliti eccessi verbali, lo è), Verdone presenta alla fine un ritratto di famiglia che si ritrova “nonostante” i propri limiti, proprio perché si riconosce famiglia. Dove all’inizio tutti sono l’un contro l’altro, e ognuno penso solo ai suoi interessi (alla sua “roba”, soprattutto gli avidi fratelli che temono che il padre butti via tutti i soldi con la moglie/badante moldava), e dove l’arrivo della misteriosa Lara crei ulteriori tensioni.

 

Ma alla fine, proprio grazia al “terremoto” Lara (molto più che agli interventi del povero prete, che pure ci ha messo del suo per migliorare le cose), le cose – seppur lentamente, e in maniere anche tortuose – trovano una soluzione buona per tutti. Ovviamente, nello stile della commedia e quindi con le sue esagerazioni: ma se i singoli dettagli – con cui se la prende Messori – di quella famiglia sono assurdi, il quadro d’insieme è di riconoscimento che l’individualismo gretto porta a tristezza e solitudine; e che riunirsi insieme attorno a una nuova, anche improvvisata, realtà familiare sia molto meglio.

E non è poco, in tempi in cui si teorizza che la famiglia sia per sua natura luogo di crimini e nefandezze. Soprattutto, il cambiamento c’è, eccome: visibile, e anche visivo. Contrassegnato da quel rosso natalizio e gioioso, quasi una divisa di una nuova possibilità di vita comune.