Un film da non vedere. Tranchant, per una volta, il consiglio – anzi, lo “sconsiglio” – nel pezzo di Laura Cioni sul film La passione di Carlo Mazzacurati. Ma come, non si dovrebbe vagliare tutto? No, per una volta no. A noi di Sentieri del Cinema, che invece il film lo consigliamo sul nostro sito, molti amici chiedono: ma allora, chi ha ragione?
Premessa: di fronte a un film nessuno, neanche lo spettatore professionale più attrezzato, ha la risposta esatta preconfezionata, che oltre tutto toglie il gusto del rischio dell’interpretazione di fronte all’opera dell’ingegno altrui. È dunque consigliabile quando si parla di cinema (ma forse non solo) un approccio di fronte all’oggetto-film che lo guardi per quello che è, non che ci trovi quel che vogliamo trovare.
Ma nel merito, qual è la colpa così grave del film di Carlo Mazzacurati, che sta avendo un discreto successo nei cinema e che ottiene il gradimento di chi si fida ed entra in sala? Davvero scherza con i santi, o meglio con la Passione di Cristo in modo irrispettoso, riducendola peraltro «a pretesto per raccontare altre storie», o meglio «rievocazione in costume, che non tocca nell’anima nessuno»?
Una rappresentazione se non blasfema, certo banale, opera di «intellettualini» che giocano con il sacro per qualche euro in più. E in sala «c’è anche chi si indigna per la cialtroneria del prodotto». E lungi dal riuscire a rappresentare la provincia italiana, il film avrebbe la colpa di ricorrere alla Passione appunto come espediente, senza nemmeno farne una vera parodia.
Si resta perplessi. È evidente – lo ha dichiarato esplicitamente il regista – che l’occhio di chi racconta è laico. Ma la Passione, o meglio la Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo, non è un mero pretesto. È quasi un “incidente” che capita al protagonista, il povero regista Gianni Dubois (un Silvio Orlando divertente come ai suoi esordi comici) che, costretto a metterla in scena scantona, vorrebbe evitarla e si acconcia a realizzarla a malincuore, circondato da volenterosi, goffi e incapaci. Quando tutto sembra andar male, lo salva un ex galeotto (il sempre più bravo Giuseppe Battiston, nel suo ruolo più bello) che quelle parole non solo le ha imparate a memoria, ma le vive nella carne nella speranza della propria redenzione.
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Laicamente, il regista rimane ad osservare, quasi sconcertato da qualcosa che non sa spiegarsi, insieme al coro dei suoi attori, importanti e meno. Lo stesso Dubois, quando la Passione si compie, non è più regista ma spettatore di quanto avviene. Il canto sacro (del personaggio più improbabile del film), il pianto della barista/Maddalena, la sofferenza e la morte di quel Cristo in croce sembrano toccarlo, così come tutto il popolo che pochi momenti prima sbertucciava quell’attore grasso e goffo che pretendeva di interpretare Gesù. Per tutti, una possibilità di ripresa, di rinascita: e non a caso il racconto di un possibile, nuovo film di Dubois, che si era incartato, trova una soluzione nel segno della speranza.
«Non volevo fare un documentario sulla devozione o affrontare il tema dal punto di vista religioso» ha dichiarato Mazzacurati alla Mostra di Venezia, dove il film era in concorso. «Però i personaggi interpretati da Silvio Orlando e Giuseppe Battiston sono uomini che sono caduti e cui viene data l’occasione per rialzarsi. Un travaglio che nei secoli ha sempre avuto come punto di riferimento più alto la passione di Cristo. Che è l’aspetto più alto dell’iconografia artistica italiana. E che mi sembrava uno spunto calzante, da un punto di vista narrativo».
Una posizione di grande apertura e curiosità, che sorprende e interroga. Sì, questo film – che sembra inizialmente “solo” una commedia divertente e che è molto di più – è da vedere.