Poche sorprese, quest’anno nelle nomination (annunciate ieri) ai premi Oscar che saranno assegnati il prossimo 7 marzo a Los Angeles. O meglio, le sorprese si erano già esaurite nelle ultime settimane, quando quelli che ora sembrano i due rivali per la vittoria – Avatar e The Hurt Locker – avevano iniziato uno scatto prolungato che li ha portati a superare tutti gli altri titoli in gara a livello di pronostico.

Ora, con nove candidature a testa, i film di James Cameron e Kathryn Bigelow (ironia della sorte, due ex: furono sposati per un paio d’anni a metà anni ’90) sono davvero i film da battere per tutti.

Li inseguono Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino con otto candidature (una – scommettiamo? – è già una statuetta: quella per Christoph Waltz nei panni del perfido e sorridente nazista) e la coppia formata dall’outsider Precious e dal bellissimo Tra le nuvole di Jason Reitman con sei. Bigelow e Cameron si sfideranno a tutto campo, a partire dalla gara per il miglior regista (ci sono anche Reitman, Tarantino e Lee Daniels per Precious) e per il miglior film.

Concentriamoci, nella nostra analisi, su questa categoria che è poi quella che “rimane” nella mente di tutti (a meno che un film poi recuperi vincendo più statuette di chi ha preso l’Oscar principale: ma in genere le due cose coincidono). Per la prima volta da tempo, e come alle origini degli Oscar, corrono in dieci contro le cinquine delle altre categorie.

Ci sono, oltre a Avatar e The Hurt Locker, anche l’animato Up (per fortuna…), Tra le nuvole, Bastardi senza gloria, Precious, An Education, A Serious Man, The Blind Side e la sorpresa District 9. Manca, e sorprende fino a un certo punto, Invictus di Clint Eastwood. Successe un anno fa con Gran Torino, ed è stato un vero scandalo.

 

Pare che anche stavolta ci fossero gli estremi almeno per una nomination: ma il vecchio Clint, prossimo agli 80 anni, è troppo bravo e carico di gloria per prendersela a male (due Oscar per il miglior film, e altri sparsi qua e là, li ha già vinti in passato: perciò, forse, non lo fanno più gareggiare…).

 

Chi prenderà il posto di The Millionaire, vincitore a sorpresa nel 2009? Ai due favoriti aggiungeremmo Tra le nuvole, che ha le qualità per raccogliere consensi trasversali (mentre Tarantino divide sempre l’Academy tra sostenitori e detrattori); Up ci sembrerebbe una bellissima provocazione (è il film più bello dell’anno, lo meriterebbe), ma non ci vogliamo illudere.

 

Ma sono proprio Avatar e The Hurt Locker, sulla carta, i due titoli con le maggiori chance. Il trionfatore attuale come incassi in ogni Paese del globo è spettacolo puro, cinema-cinema che può irritare gli snob ma che va ben oltre l’uso degli effetti speciali e di un sontuoso 3D che reinventa la Settima Arte. Senza contare che regala a Hollywood una nuova giovinezza: ci sembrerebbe impossibile che l’Academy of Motion Picture Association non ringraziasse sentitamente con una pioggia di Oscar.

 

Ma una vittoria della rinata Kathryn Bigelow – che sembrava essersi persa: non girava un film dal 2002 – su un gruppo di soldati Usa che rischia la pelle come artificieri in Iraq sarebbe davvero un bel colpo di scena. Pacifista, la Bigelow ha girato questo film due anni fa, mentre ancora George W. Bush (che detestava), era presidente. Ma ha avuto il coraggio di non accodarsi ai tanti “americani contro l’America” di quel periodo pre-Obama, realizzando un film teso, appassionante e commovente.

 

Dove uomini che rischiano la vita per nemici che vogliono fargli la pelle rischiano di perdere se stessi. Uomini che “la regista donna che gira come un maschio” (come veniva definita ai tempi dei suoi adrenalinici successi Point Break e Strange Days) guarda con compassione e simpatia.

 

Un piccolo (per gli standard americani) ma grande film sotto tutti i punti di vista, deriso senza ritegno da gran parte della stampa italiana alla Mostra di Venezia 2008 (dove chi scrive contribuì a fargli vincere un premio di una giuria collaterale: il premio La Navicella – Sergio Trasatti), dove passò addirittura un anno prima – caso rarissimo – dell’uscita americana. Una sua vittoria farebbe, forse, arrossire di vergogna tanti cinefili senza arte né parte, e qualche critico più o meno esperto, che presero una solenne topica.