Dopo i dieci capolavori imperdibili, ci sono un buon numero di ottimi film, per qualità o per contenuti (o entrambe le cose) in un’annata in cui, come sempre, non sono mancante le proposte importanti (il cinema è in buona salute). Ne elenchiamo venti, divisi in altre due puntate. Sono i film consigliati, cui magari manca qualcosa (ma a volte sono un’inezia) per essere imperdibili: sono comunque ottime pellicole, “bei film” che sarebbe un vero peccato non vedere.

I consigliati

Cominciamo con il film vincitore quest’anno a sorpresa dell’Oscar come miglior film straniero: Il segreto dei suoi occhi del regista argentino Juan Antonio Campanella. Benjamin Esposito è un magistrato in pensione, che vive in preda a rimorsi e rimpianti per fatti avvenuti 25 anni prima, nella Buenos Aires di metà anni ‘70. Rimorsi per non aver risolto l’omicidio di una giovane sposa orrendamente massacrata; rimpianti per non aver avuto il coraggio di dichiarare il suo amore alla donna (suo capo) amata. Quei fatti, che lo costrinsero anche alla fuga dalla capitale, sono trasformati da Benjamin in un romanzo, scritto per esorcizzare il dolore e per capire meglio. Scoprirà una terribile verità, ma anche il coraggio di guardare in faccia a quell’amore non vissuto, che merita forse una seconda chance.

Con un interessante mix di generi – giallo classico, film a sfondo storico-politico, melodramma amoroso – l’autore racconta un uomo deluso da una giustizia corrotta, ma anche tenace nel ricercarla contro ogni possibilità reale; sorpreso da un amore cui non sa abbandonarsi, ma anche soggiogato nell’osservare l’amore puro di un giovane uomo rimasto vedovo, nei cui occhi legge un sentimento cui lui aspira. Purezza che non è meno vera se chi l’ha incarnata viene meno.

Fu una sorpresa ancora maggiore la vittoria, nel 2009, diDepartures – firmato dal regista del giapponese Yojiro Takita – sempre come Oscar per il film straniero. Le “partenze” cui fa cenno il titolo sono l’equivoci su cui prende spunto la vicenda: un giovane equivoca un’inserzione di lavoro e crede di rivolgersi a un’agenzia di viaggi; finirà invece in un’agenzia sì, ma di pompe funebri, che prepara non a generici “viaggi” ma al “viaggio”, cioè al luogo in cui le anime finiscono dopo la morte. E lo fa con estrema cura, con rituali antichi e profondi di vestizione e di preparazione (e abbellimento) del corpo. Il giovane, all’inizio scettico e anche pieno di vergogna (tanto da non confessare alla moglie la natura “particolare” del lavoro), diventerà poi molto abile nel mestiere. Che gli permetterà poi di star di fronte al padre morto – e mai amato – in un modo per lui imprevedibile.

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Ci sono stati alcuni film, nell’annata, abbastanza controversi: nel senso che partivano da una posizione dell’autore – o meglio, in un paio di casi che vedremo, dell’autrice – opposta a certi sviluppi del film raccontato. Lo spazio bianco di Francesca Comencini, per esempio, descrive la vita disordinata della quarantenne Maria, che vive da sola a Napoli dopo la fine dell’ennesimo amore, cerca nuove storie che non durano, sembra autoconvincersi di poter essere autosufficiente. E quando rimane incinta, è l’uomo a non voler più saperne di lei e della vita che porta in grembo.

 

Il film è curioso perché la Comencini – femminista e abortista – racconta (partendo dal romanzo di Valeria Petrella), una sofferta, lunga, anche a tratti poco lineare, presa di coscienza di una maternità non cercata, non voluta, non compresa. Ma che alla fine esplode come fatto in sé, davanti a un’incubatrice dove una bambina, nata prematura, lotta per sopravvivere. Che la regista, in forza delle sue idee, volesse rifiutare il meritato premio Pro Life assegnatole da una giuria cattolica rende ancora più intrigante il tutto.

 

Come, al netto di polemiche “cattoliche” a priori, è intrigante la vicenda del film Lourdes: diretto da Jessica Hausner, una regista atea e scettica sul fenomeno dei miracoli nella cittadina francese, ha raccontato una storia di miracoli e miserie, di meschinità e stupore, di pellegrini e volontari i cui sentimenti si ribaltano a seguito di una guarigione miracolosa. Un prete che sembra inadeguato, a chi gli chiede perché la guarigione ha premiato la meno degna, risponde «perché Dio è libero»: risposta semplice ma grande (e poco compresa). Con pochi mezzi, l’autrice tocca questioni centrali per la vita lasciandole alla libertà di chi guarda. Con onestà intellettuale notevole.

 

Con ancora meno mezzi è stato realizzatoLa pivellina, piccolo film italo-austriaco (della coppia Tizza Crovi e Rainer Frimmel) rititolato infelicemente Non è ancora domani. Ambientato nella periferia romana, in mezzo a una comunità di artisti da circo che trovano una bimba di due anni abbandonata (ma con un biglietto che segnala un veloce ritorno della madre) è la storia di una maternità temporanea e imprevista di due persone di mezza età e dell’attesa di un gruppo di persone: i due coniugi che si prendono cura della piccola Asia – chiamata affettuosamente la “pivellina” – e l’adolescente Tairo che li aiuta, e che tratta la bimba come una sorellina.

 

Un altro biglietto segnerà la fine di quella dolce esperienza… Storia di un rapporto imprevisto e dirompente nelle vite di persone semplici, è un film “povero” nel senso migliore: potrebbe spiazzare chi è abituato al cinema professionale, con attori veri. Ma la “pivellina” e questi artisti circensi presi davvero dalla strada regalano emozioni vere e profonde.

 

Completamente diverso lo stile di Brothers, film hollywoodiano ben professionale che pure è un remake di un film europeo (della danese Susanne Bier). Triangolo di famiglia interpretato da tre dei migliori giovani attori Usa (Natalie Portman, Tobey Maguire e Jack Gyllenhaal), narra di due fratelli completamente diversi, Sam e Tommy. Il primo, orgoglio di famiglia, è un marine. In una missione in Afghanistan lo danno per morto: nel lutto, la moglie si avvicina al fratello scapestrato del marito, Tommy, che con lei e le figlie del fratello “defunto” si rivelerà un altro uomo.

 

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Quando si saprà che Sam è ancora vivo, la gioia dell’insperata notizia si trasformerà in incubo: i traumi di guerra hanno reso labile la sua mente, pronta a esplodere. Per esempio, per la gelosia dell’amicizia tra moglie e fratello… Dramma americano intenso e ben costruito dal regista irlandese Jim Sheridan, presenta tanti spunti di interesse: su tutti, il rovesciamento dei ruoli tra i due fratelli dopo il fatto che cambia le vite dei protagonisti.

 

Parla di una mente distorta, ma in un film brillante, anche The Informant!, diretto da Steven Soderbergh che dopo il poco interessante filmone su Che Guevara ci guadagna con un film meno ambizioso ma acuto e divertente. Commedia contaminata con la spy story, è tratta da una storia verissima: quella di Mark Whitacre, biochichimico che diventa super manager in una multinazionale del settore agroalimentare e che a un certo punto inizia a svelare all’FBI le malefatte dei propri capi: perché lo fa? Cosa ci guadagna? Soprattutto, dice il vero o no? La sua vita diventa un dedalo di segreti, intrighi, microfoni nascosti, bugie… Mark ha qualche problema nel distinguere tra cosa è vero e cosa non lo è…

 

Grazie a una sceneggiatura che gronda intelligenza, dialoghi affilati, descrizione perfetta dei personaggi e attori in forma (a cominciare dal protagonista, Matt Damon nella sua interpretazione migliore), Soderbergh punta il dito sui guasti di un capitalismo malato, ma mostra anche persone che non sanno riconoscere il vero bene e rischiano di mandare a repentaglio se stessi e le persone che amano.

 

In fondo è anche il tema di 500 giorni insiemediMarc Webb, che spezzando la narrazione in continui andirivieni temporali racconta la storia d’amore sui generis di Tom e Sole. Lei non vuole legami, lui è innamorato davvero e si adatta ai suoi voleri, ma desidererebbe una storia seria. In realtà noi conosciamo la storia dalla fine, cioè sappiamo che si sono già lasciati. E scopriamo poi che ora è lui a non credere all’amore: ma la realtà regala sempre nuove occasioni.

 

Con una forma narrativa è brillante e moderna – grazie anche ai due ottimi protagonisti: l’emergente Joseph Gordon-Lewitt e la splendida Zooey Deschanel – questa commedia rivela parecchie sorprese. Se Sole sembra condurre il gioco e concede solo un’amicizia con rapporti sessuali inclusi, ma senza impegno, la brusca fine della liaison fa capire a Tom quanto sia corto il respiro di una visione sentimentale dell’amore. Ma anche un’ottima teoria non è nulla di fronte alla vita: meglio buttarsi e rischiare, anche una nuova delusione.

 

Finiamo questa carrellata di dieci film con due titoli italiani. In L’uomo nero di Sergio Rubini, ambientato negli anni ‘60, l’attore e regista è un capostazione di un piccolo paese pugliese: l’uomo, che sogna il riconoscimento del suo talento di pittore, si scontra con la grettezza della cittadina – su tutti, due “notabili”: un sarcastico avvocato e un perfido critico – fino a esplodere.

 

Sulfureo ritratto di provincia, zeppo di figure vivide e a tratti grottesche, il film mette tanta carne al fuoco: il tema del pregiudizio che stronca il talento di un uomo incompreso anche dalle persone amate, il desiderio di espressione artistica, il ruolo della critica (in questo caso invidiosa e prigioniera delle sue fisime), il rapporto padre-figlio con i sensi di colpa conditi dal rancore per una paternità debole, il ruolo della donna accanto a un uomo roso dalla frustrazione, la venatura naturalistica e magica del rapporto con i morti… Troppa roba, forse: ma ci piace la generosità dell’opera, che è stata troppo sottovalutata.

 

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Infine, la sorpresa comica dell’anno: Cado dalle nubi, diretto da Gennaro Nunziante e interpretato da Checco Zalone (vero nome Luca Medici), comico e cantante parodistico lanciato in tv dalla trasmissione Zelig qui nei panni di un Candido pugliese, ignorantissimo e di buon cuore, che per dimenticare l’amata Angela e sfondare nella musica va a vivere a Milano.

 

La trama è semplice ma funzionale, battute e situazioni comiche sono continue e di buon livello, la comicità meno irriverente che in tv ma sempre scorretta: obiettivi, simpaticamente sfottuti, omosessuali, leghisti, meridionali, preti modernisti e volontariato cattolico. In Cado dalle nubi, si sorride spesso e si ride altrettanto di frequente. Il comico pugliese – che anche come cosceneggiatore si fa apprezzare – ha avuto l’umiltà di non mettersi a fare il regista (come, invece in passato, tanti altri comici) e di circondarsi di ottimi attori, sfruttando invece la sua verve e le sue canzoni demenziali. Un film che non diventerà forse un classico, ma che regala al cinema una faccia nuova e diverte senza volgarità. Vi pare poco?

 

(3- continua)