È sicuramente Il discorso del re il favorito per gli Oscar 2011, che saranno assegnati il prossimo 27 febbraio a Los Angeles, come certificano le dodici nomination nelle varie candidature. A cominciare dalle principali: miglior film, miglior regia (il poco noto Tom Hooper, regista del bel Il maledetto United, da noi uscito solo in dvd), attore protagonista (il solitamente bravo Colin Firth), due non protagonisti di classe (Helena Bonham Carter e Geoffrey Rush), sceneggiatura originale…

La storia del re inglese Giorgio VI, salito al trono suo malgrado dopo il “gran rifiuto” del fratello, e dei suoi terribili problemi di linguaggio (era balbuziente) è un affresco emozionante che ha tutte le caratteristiche per mettere d’accordo tutti, dopo anni di divisioni in seno all’Academy. Nei mesi precedenti le candidature annunciate martedì 25, in realtà, a contendere i favori del pronostico sono stati altri film che si sono divisi gli innumerevoli premi o segnalazioni “pre-Oscar”, dai tanti riconoscimenti delle associazioni dei critici delle grandi città alle categorie professionali (produttori, sceneggiatori, interpreti): e sono film che si ritrovano, insieme a Il discorso del re, nella “decina” dei candidati al miglior film (l’unica categoria ad avere più dei soliti cinque nomi in lizza).

Su tutti, The Social network di David Fincher – beniamino di parte della critica -, forse troppo moderno e poco incasellabile per raccogliere consensi unanimi; con otto nomination è comunque ben piazzato per raccogliere qualche premio (magari la sceneggiatura non originale), come pure Inception di Christopher Nolan (scandalosamente dimenticato tra i registi), sempre con otto nomination. Stranamente meno quotato, alla vigilia, Il Grinta dei fratelli Coen (chi l’ha visto negli Usa ne parla molto bene), remake di un vecchio western con John Wayne che in realtà guarda più a Gli spietati, e che però si propone in prima fila per la 83ma Notte degli Oscar avendo raccolto ben dieci candidature.

Tra i migliori film altri due titoli molto gettonati nei mesi scorsi, l’intenso The Fighter di David O Russell su due fratelli pugili (dove spicca un non protagonista con i fiocchi, Christian Bale: scommettiamo che vince l’attore di Batman?), arrivato a sette candidature, e 127 ore di Danny Boyle (sei nomination), che dopo i trionfi di The Millionaire ha realizzato un film completamente diverso; tutto con un unico attore, lo straordinario James Franco che contende a Colin Firth il premio come protagonista, nei panni di un uomo bloccato in un canyon e in preda al terrore.

Completano i dieci titoli per la categoria più ambita Cigno nero di Darren Aronofsky (il regista di The Wrestler), quasi un horror sul mondo della danza, la melensa e ideologica commedia I ragazzi stanno bene (che cerca di dimostrare come due donne, lesbiche, siano meglio come genitori di un padre e una madre), l’outsider The Winter’s Bone, che dovrebbe intitolarsi in Italia Un gelido inverno (con la splendida, giovanissima, Jennifer Lawrence) e Toy Story 3 della Pixar. Che, seppur tra i migliori in assoluto, sicuramente non vincerà, ma ha già in tasca l’Oscar per la categoria animazione (contro i pur pregevoli Dragon Trainer della Dreamworks e il francese L’illusionista).

 

Detto della sfida tra gli attori Firth e Franco (difficile veder rivincere Jeff “Il Grinta” Bridges o Javier Bardem di Biutiful, magari potrà inserirsi l’alter ego del creatore di Facebook in The Social Network, Jesse Eisenberg), tra le attrici la gara sembra ridursi tra Natalie Portman (protagonista di una scena “lesbo hard” che all’inaugurazione della Mostra di Venezia deve aver imbarazzato non poco il presidente Napolitano) e Annette Bening, madre omosessuale in una famiglia alternativa del già citato I ragazzi stanno bene. La Portman è come sempre molto brava, in un film cupo e angosciante ma non senza pregi, ma attenzione anche a una Nicole Kidman tornata ai suoi livelli nel toccante Rabbit Hole, visto al Festival di Roma.

 

A una prima analisi, non sembrano esserci state esclusioni scandalose nella prima tornata degli Oscar: il meglio del cinema anglosassone è stato menzionato; solo, come già scritto, stupisce l’assenza di Nolan tra i registi in un film visivamente splendido – e straordinariamente tenuto sotto controllo – come Inception; e, nello stesso film, l’assenza di Leonardo Di Caprio tra gli attori protagonisti (e non è la prima volta che l’interprete lanciato da Titanic sconta un ostracismo in questo premio). Ma quest’anno non ci sono casi come Gran Torino di due anni fa o Up lo scorso anno.

Se di scandalo si vuole parlare, o quanto meno di dimenticanza clamorosa, dobbiamo guardare alla categoria “miglior film straniero”. Non tanto per il “nostro” Paolo Virzì, che con la sua pregevole commedia La prima cosa bella non è mai entrato nei pronostici di chi conosce bene l’ambiente dell’Academy: da qui le polemiche del “rivale” Luca Guadagnino, che sperava di essere selezionato dall’apposita commissione tricolore con il suo Io sono l’amore molto apprezzato negli Usa (e se invece avessimo mandato agli Oscar il film italiano più bello del 2010, L’uomo che verrà di Giorgio Diritti?).

 

No, lo scandalo è che i giurati abbiano tralasciato Uomini di Dio di Xavier Beauvois, già Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes. Non che manchino i film degni nella cinquina: In un mondo migliore di Susanne Bier (che sembra il favorito per la statuetta) e il canadese Incendies – La donna che canta (appena uscito nei cinema italiani) sono film intensi, duri, commoventi, capaci di passare dal dolore e dalla tragedia alla speranza. Ma se il greco Dogtoth (vincitore a Cannes del Certain Regard), ritratto morboso e inquietante di una famiglia isolata dal mondo, ha dalla sua almeno forza di stile, due titoli sopravvalutati come Biutiful di Alejandro Inarritu e Hors la loi di Rachid Bouchareb (a Cannes nettamente sconfitti da Uomini di Dio) la nomination potevano tranquillamente non riceverla.