Chi si aspettava da Nanni Moretti un film “contro” il Papa, magari quello attuale, come Il Caimano era un film contro Berlusconi magari sarà rimasto deluso. O sarà costretto ad accontentarsi di allusioni, mezze battute sul cambiamento necessario nella Chiesa o dichiarazioni (controvoglia) alla stampa.

In realtà, il regista romano con la Chiesa ha sempre avuto un rapporto di rispetto, venato (apparentemente: chi può dire cosa pensi davvero?) di cortese indifferenza. In Habemus Papam – che racconta, alla morte di un Papa “amatissimo” (segnatamente Giovanni Paolo II), l’elezione di un anziano cardinale francese che non si sente all’altezza del compito – per la seconda volta un protagonista è un religioso, un uomo di Chiesa. Ma se nel bellissimo La messa è finita il don Giulio interpretato da Moretti stesso del prete aveva poco (la condizione sacerdotale era un pretesto per raccontare – toccando corde universali – il disagio di un giovane uomo alle prese con la propria impotenza di fronte all’infelicità propria e altrui), stavolta un analogo tentativo non riesce.



Sì, il cardinale Melville che appena eletto Papa si scopre fragile e terrorizzato dalla missione richiesta rappresenta – per esplicita ammissione del regista – l’inadeguatezza di qualsiasi uomo di fronte a grandi responsabilità. Ma il contesto e la situazione sono troppo specifiche: e così il film si attira critiche da chi non considera quel Papa credibile (con l’aria sconcertata di chi è capitato per caso nel Conclave, non chiede aiuto né a chi lo ha eletto, né a Chi lo ha scelto, pur negando di “aver problemi con la fede”; sfuggito alla sorveglianza di portavoce e guardie del corpo, se ne va in giro per Roma rimpiangendo una lontana aspirazione al teatro) o stigmatizza la rappresentazione di una Chiesa senza una reale dimensione divina; mentre la trasposizione su un piano universale non scatta, per carenze narrative ed emotive.



Eppure inizialmente Habemus Papam sorprende: del Conclave ci dà un’immagine intensa e solenne, con anziani cardinali che pregano Dio di non essere scelti (neanche il “super favorito” smania l’elezione, come pure insinua il personaggio interpretato da Moretti); l’inquietudine di Melvile/Michel Piccoli (il grande attore francese, 86 anni, è la cosa migliore del film anche se la sua performance ricorda altre della sua carriera, tra cui Ritorno a casa di Manoel De Oliveira) inizialmente ci tocca.

Quando irrompe in scena Nanni Moretti nei panni del professor Brezzi, il miglior psicanalista su piazza, qualcosa però inizia a non girare. Il suo personaggio apporta alcune banalizzazioni: schermaglie dialettiche di basso livello con i cardinali (sull’anima e sull’inconscio, sul darwinismo, sull’inferno), battute autoreferenzali a uso e consumo dei propri fan (“Sono il più bravo? È una condanna, me lo dicono tutti”), situazioni che dapprima strappano un sorriso, ma alla lunga diventano stucchevoli (il torneo di pallavolo).



Si dipana così una narrazione faticosa e binaria: da una parte il Papa, eletto ma non ancora proclamato pubblicamente – nello sconcerto dell’opinione pubblica e dei fedeli, che attendono per giorni che il mistero venga sciolto – che vaga per Roma, tra sedute di terapia (a Brezzi subentra poi l’ex moglie, interpretata da una poco incisiva Margherita Buy), giri tra la folla e incontro con una compagnia teatrale; dall’altra, cardinali bloccati in Vaticano insieme allo psicanalista/Moretti (la cosa più implausibile del film) che ingannano il tempo tra carte e pallavolo.

Così, quel crollo umano e il suo epilogo meno imprevedibile di quanto si pensi non diventano significativi nella loro anomalia. Come non lo sono le varie situazioni in cui il Papa o altri personaggi si ritrovano: tutto è frammentario, rivolto a far sorridere la platea (Moretti ci ha tenuto a sottolineare che voleva raccontare il dramma di questo uomo inadeguato in chiave di commedia; e come sempre nei suoi film, in alcuni momenti si ride di gusto).

Ovviamente, non mancano i pregi in Habemus Papam: a Moretti non fanno difetto le qualità registiche, certi felici tocchi surreali, un’ottima direzione degli attori (oltre a Piccoli, il bravissimo attore-regista polacco Jerzy Stuhr nella parte del portavoce e i vari “cardinali” tra cui Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile) o la precisione nei dettagli. Pur con qualche approssimazione, e senza aver potuto girare nei veri luoghi del Vaticano, non ci sono grossi errori nel descrivere il Conclave o la Chiesa. E c’è appunto rispetto, anche nel rappresentare le fisionomie di preti, suore, cardinali; gente tutto sommato semplice, bonaria, magari ingenua. Ma senza le bruttezze di certe rappresentazioni anticlericali.

Però, alla fine lo spunto sembra troppo esile per reggere un film di grande spessore. E le perplessità sulle scelte narrative (una su tutte, oltre a quelle già citate: bastava che Melville rifiutasse l’elezione quando gli viene chiesto, e non un attimo dopo…) finiscono per lasciare l’amaro in bocca per un film meno riuscito di quanto si sperasse.