Davvero sorprendente, e bella, la scelta del Meeting di Rimini di riproporre il film Welcome (stasera alle ore 21.45 in sala Neri). La pellicola del francese Philippe Lioret, presentata al Festival di Berlino 2009 e uscito alla fine di quell’anno anche in Italia, è rimasta confinata in un ambito di nicchia per cinefili, pur con una certa circolazione. Ma meritava una platea certamente più ampia.



Soprattutto, dell’incontro tra l’ex campione di nuoto francese Simon e il giovane clandestino iracheno Bilal ci si potrebbe limitare a una lettura legata al tema di stretta d’attualità (quando è stato realizzato il film, e oggi ancora di più dopo le recenti tragedie nel Mediterraneo) dell’immigrazione clandestina, dei “viaggi della speranza” che finiscono in disperazione e morte.



È quello in effetti il fulcro della storia, e c’è senza dubbio una feroce critica all’atteggiamento degli occidentali – a partire dai governi, in primis quello francese – verso questi stranieri visti con ostilità e disprezzo come sintetizzato nel caustico e ironico titolo Welcome: non è un certo cordiale benvenuto quello che attende queste persone.

Ma il pregio del film è di non fermarsi a facili schematismi (buoni e cattivi non sono, come in film analoghi, così scontati: i volontari che sfamano i clandestini non si espongono più di tanto nel momento del bisogno, i clandestini non sono certo dei santi) e di non limitarsi a denunce da film militante. Preferendo scavare nel dramma per raccontare uomini, storie, cuori.



In questo contesto si muove la testarda e volitiva impresa tentata da Bilal, che dall’Iraq vuole raggiungere la Gran Bretagna, via Francia, per diventare un calciatore del Manchester United e soprattutto per raggiungere la fidanzata Mina che vive a Londra con la famiglia. Per questo viaggia per tre mesi, attraverso l’Europa, fino ad arrivare a Calais nel nord della Francia, sulla Manica. Ma attorno al porto i controlli si fanno sempre più stretti, mentre i trafficanti di uomini richiedono troppi soldi: l’unico modo per coronare il suo sogno, per il giovane, è attraversare la Manica a nuoto.

Un’impresa per nuotatori esperti. Una follia per lui, che non sa nemmeno nuotare. L’incontro con il disilluso Simon, ex campione che si adatta a fare l’istruttore di nuoto, gli regala una chance: dopo i primi scontri, Simon decide di insegnargli a nuotare.

Nel filone cinematografico sempre ricco sugli incontri che cambiano l’esistenza, Welcome ha un posto particolare. Tra i suoi pregi la sua anti-retoricità e sobrietà narrativa, e il fatto di descrivere persone reali, verosimili. Simon (interpretato dal bravissimo Vincent Lindon, attore dalle mille sfumature che ai meno giovani può ricordare per somiglianza Jean Gabin, mostro sacro del cinema francese della prima parte del ‘900) è un uomo stanco, segnato dall’abbandono della moglie (che assiste come volontaria i profughi); un amore la cui fine non riesce ad accettare, come pure la mancata paternità. Bilal è un ragazzo innamorato e determinato, deciso a raggiungere la sua Mina anche quando scopre che il padre di lei sta combinando il matrimonio con un ricco connazionale.

Nella sua tenacia Simon vede un coraggio che lui ha smarrito, sopraffatto dal dolore e dalla crudele asetticità di un divorzio fatto di carte bollate che gli trafiggono il cuore. In un dialogo con l’ex moglie, una sua frase illumina con evidenza il suo stato d’animo, di ammirazione per quel Bilal che inizia a trattare come un figlio e di frustrazione per la sua arrendevolezza: “Per rivedere la sua ragazza, lui si è fatto 4000 chilometri a piedi e ora vuole attraversare la Manica a nuoto… Io non ho saputo neanche attraversare la strada per fermarti”.

Tra i due nasce un rapporto di solidarietà e affetto che li cambia. Anche se è un rapporto che rischia più volte di andare in frantumi, tra ricerche della polizia e incomprensioni reciproche. Fino alla sparizione di una medaglia d’oro dell’ex campione, sicuro che Bilal l’abbia rubata tradendo la sua “generosità”. Quando gli verrà riportata dalla polizia, Simon reagirà in un modo che non può non ricordare il vescovo dei I miserabili di Victor Hugo con Jean Valjean.

Rimane impresso soprattutto il finale, che ovviamente non racconteremo, di questa storia dura e commovente, che regala un epilogo di speranza e di rinascita attraverso il dolore, di paternità desiderata e forse raggiunta in modi diversi da quelli desiderati ma non meno veri. Una speranza che illumina il racconto di senso, che diventa un passaggio doloroso ma non assurdo verso il compimento dei due protagonisti. E il senso è un’amicizia che ha pacificato l’uno e rilanciato l’altro, pur in una parabola che sembra di sconfitta. Ma che è invece di esaltazione della dignità umana. Impossibile da affermare se non a partire da un rapporto così vero quanto inaspettato.