Ultima puntata della nostra carrellata di consigli sui film della stagione appena conclusa, mentre un’altra stagione è appena cominciata. Premessa: per motivi di spazio non possiamo consigliare tutti i film che vorremmo e ci limitiamo a consigliarvi gli ultimi dieci, oltre agli altri dieci della puntata precedente e ai dieci imperdibili dei primi due articoli; ma sarebbero di più i titoli da ricordare. Citiamo almeno i film di animazione meritevoli di menzione, tra tutti quelli usciti, che le famiglie potranno vedere o rivedere in dvd: Cattivissimo me, Rapunzel, Megamind, Rango (non per piccolissimi) che è sicuramente il migliore dell’anno e Cars 2, pur inferiore al primo episodio.

Consigliati parte 2

Per quest’ultima puntata scommettiamo su alcuni titoli meno facili, per intenditori, o comunque con qualche elemento di novità. Un solo blockbuster hollywoodiano, l’ennesimo tratto da un fumetto: ma anche questo molto sorprendente; si tratta del prequel della saga di X-Men, non a caso sottotitolato L’inizio. Qui scopriamo i segreti dei personaggi dei mutanti Charles Xavier e Magneto: la loro infanzia, i traumi, la scoperta dei propri poteri e il rapporto con gli altri, fino alla grande amicizia che li porta a combattere il Male, insieme e con altri mutanti. Fino a un certo punto… Grande cast, con James McAvoy e Michael Fassbender (già in Bastardi senza gloria: che presenza scenica…), ma anche Kevin Bacon e la giovane Jennifer Lawrence, grande ritmo, effetti speciali non casuali ma significativi, sentimenti non buttati lì a effetto (quando Charles insegna all’amico a non usare solo la rabbia ma anche il dolore e l’amore è un grande momento). Un film che può apprezzare anche chi non conosce gli X-Men (anche perché in effetti la storia comincia qui), mentre i fan vanno in visibilio per il divertente cameo di Hugh “Wolverine” Jackson.

Dall’America sono arrivati anche film indipendenti notevoli, vincitori o nominati in vari premi importanti. Come Somewhere, Leone d’oro a Venezia un anno fa: il nuovo film di Sofia Coppola non è perfetto come Lost in translation o scatenato come Marie Antoinette, ma pur tra qualche lentezza di troppo la storia del divo alla deriva risvegliato da un viaggio con la figlia adolescente tocca il cuore. Ma si deve amare il cinema d’autore più rigoroso, altrimenti ci si annoia. Più classico è Rabbit Hole di John Cameron Mitchell, con Nicole Kidman e Aaron Eckart,  su due coniugi affranti dalla morte del proprio figlio. La Kidman – nominata all’Oscar – torna bravissima dopo una serie di passi falsi: e la sensazione di aver già visto la stessa storia molte volte viene riscattata dall’umanità dei personaggi e da alcune idee interessanti (il rapporto non scontato tra la madre con il ragazzo che ha investito suo figlio, le invenzioni narrative e fantasiose del ragazzo, la rottura evitata tra i coniugi per un giudizio che vince la tentazione, e quindi il finale teso ma positivo). Molte nomination agli Oscar le ha avute anche Un gelido inverno, piccolo e durissimo film su una ragazzina (l’eccezionale, già citata Jennifer Lawrence, anch’essa candidata all’Oscar) che cerca il padre scomparso in una provincia americana torva, misera, violenta. Un viaggio all’inferno, per difendere la propria casa e quel che resta della propria famiglia (i fratellini da tirare su) da cui la ragazza esce, nonostante tutto, in piedi. Vale quanto detto per Somewhere: il film è tanto apprezzabile da chi ama film d’autore (e la regista  Debra Granik ci sa fare) quanto a rischio di lasciare perplessi chi cerca una narrazione più lineare e comune.

Sicuramente più immediatamente leggibile, ma altrettanto spiazzante anche se in un modo completamente diverso, è Mr Beaver di Jodie Foster con un Mel Gibson che è stato penalizzato dall’ormai pessima fama personale. Nel film è un dirigente d’azienda in grave crisi economica e umana, tra alcool e depressione (tanto da tentare il suicidio), che ne esce temporaneamente attraverso un incredibile alter ego: un castoro cui lui dà voce in sdoppiamenti di personalità all’inizio curiosi, poi inaccettabili per chi gli sta intorno (e anche per qualche spettatore). La moglie (la stessa Jodie Foster) cerca di aiutarlo, ma non ce la fa; il figlio lo rifiuta fin dall’inizio. Ma a un certo punto… Mr Beaver non è un capolavoro, ma racconta depressione e fallimenti esistenziali con un taglio profondo e umanissimo; sguardo con cui è rappresentata anche l’inconsueta storia d’amore tra il figlio del protagonista e una compagna di scuola (interpretati da Anton Yelkin e ancora una volta la stracitata Jennifer Lawrence).

Gli altri cinque film arrivano da altri paesi, e sono altrettanti esempi di cinema internazionale ben fatto, appassionante e intelligente. Come Cirkus Columbia, che segna il ritorno in patria del bosniaco Danis Tanovic a distanza di quasi dieci anni dal suo fortunato esordio da Oscar con No man’s land. In Cirkus Columbia il regista torna a toccare il tasto dolentissimo della guerra che insanguinò la sua terra, anche se il racconto la precede: ma si avvertono, eccome, le avvisaglie di un conflitto che nessuno cerca di evitare. E così, il rozzo protagonista che torna dopo vent’anni nel suo Paese, la sua ex moglie, il figlio abbandonato da piccolo e con cui ora vorrebbe un rapporto in maniera troppo rude, la giovane amante e altri personaggi si muovono sullo sfondo di una tragedia che sappiamo essere incombente. E rende ancora più strazianti le loro mosse, spesso inadeguate.

Si parla di guerra che insanguina una terra martoriata anche in La donna che canta: il canadese Denis Villenueve racconta la guerra civile in Libano di inizio anni 80 a ritroso, a partire dalla morte di una donna che lascia ai suoi due figli un carico di segreti da dipanare. Se la ricostruzione storica non sempre convince (si mostrano le violenze di tutti, ma alcune sono giustificate mentre altre appaiono più efferate: e sono sempre i cristiani ad apparire nella luce peggiore) pur in un contesto che fu davvero orribile, quel che cattura lo spettatore è una dolente vicenda umana di una donna che attraversa il Male ma sa riconsegnare ai figli – dopo aver scoperto a loro volta tutto l’orrore vissuto dalla madre – un’impossibile speranza che permette loro di interrompere la catena dell’odio. Con una tensione narrativa frutto di grande talento cinematografico.

Segreti avvolgono anche la donna che muore in un attentato all’inizio del film Il responsabile delle risorse umane dell’israeliano Eran Riklis, dal romanzo di Abraham Yeoshua: un’immigrata rumena muore a Gerusalemme, ma nessuno ne reclama il corpo; i dirigenti dello stabilimento nel quale lavorava, per evitare critiche della stampa, affidano al direttore dell’ufficio risorse umane il compito di accompagnarne la salma al paese d’origine. Il viaggio è irto di difficoltà e ostacoli di ogni genere (burocrazia, scontri generazionali, tradizioni religiose, differenze culturali ed etniche) che costringono il “responsabile” e altri personaggi a fare i conti con la propria umanità. Gli attori sono a noi sconosciuti, ma la storia è quanto mai toccante.

Come sono sconosciuti i due protagonisti del francese Angele et Tony: la prima è una giovane donna appena uscita dal carcere, e deve riconquistare il figlio che vive con i nonni; il secondo è un pescatore tanto schivo – come tanti suoi simili, sulle coste della Normandia – quanto sensibile e desideroso di una compagna. Il loro sembra un incontro impossibile: e all’inizio per Angèle, Tony è solo un’occasione propizia. Poi, pian piano tra mille passi falsi e incomprensioni il loro diventa amore, con una semplicità di racconto che riecheggia la vita vera. E con un finale che riconcilia e li riconcilia con la vita.

La stessa possibilità viene concessa ai protagonisti di Il ragazzo con la bicicletta, diretto dai noti fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne. In questo caso un ragazzino e una donna che si trova quasi per caso a fargli da madre. Il loro rapporto sembra compromesso dalla frustrazione del ragazzo (abbandonato dal padre, che non vuol saperne di lui), dal suo carattere ribelle,  dalle cattive compagnie in cui rischia di scivolare. E forse anche da una generosità un po’ confusa della donna, che non sa nemmeno perché se lo prende in casa. Come sempre i Dardenne puntano all’essenziale, riducendo la storia all’osso per far risaltare temi forti e destini di persone che rischiano la sconfitta. Ma cui non viene negata, in questo caso, una via di uscita carica di senso.