Continua la carrellata sulla stagione cinematografica agli sgoccioli: in questa puntata altri dieci film da vedere e da consigliare (qui i primi dieci film “consigliati”), tra i migliori degli ultimi dodici mesi, che è possibile recuperare nei cinema in carenza di film validi d’estate, nei cinema all’aperto che riempiono l’Italia e, in molti casi, già in dvd.
Consigliati – Seconda parte
Ormai è passato quasi un anno, e quindi c’è il rischio di dimenticarselo. Ma se la stagione, a fine agosto, partì subito alla grande fu merito anche di Batman. Il cavaliere oscuro – Il ritorno, terzo atto della serie di film con cui il talentuoso Christopher Nolan ha rinnovato i fasti cinematografici del difensore mascherato di Gotham City, chiude in bellezza la trilogia; anche se è meno perfetto del precedente episodio. Ma ha una capacità di “lettura” complessiva della storia, che recupera e spiega anche Batman Begins (urge ripasso, nel caso ve lo foste legittimamente dimenticati), e una tenuta emotiva notevole. Christian Bale è ormai Batman, perfetto nella parte sia quando è ironico in smoking o furente nelle discussioni con l’amato maggiordomo Alfred (il solito, sontuoso Michael Caine), sia quando combatte e soffre nella sua tuta da uomo pipistrello. Dopo lo strepitoso Joker di Heath Ledger era difficile disegnare un avversario altrettanto indimenticabile: ma il Bane interpretato da un irriconoscibile quanto inquietante Tom Hardy (visto in La talpa e Warrior), e doppiato con impegno da Filippo Timi, rimane nella memoria. Inutile dilungarsi sulla trama e sui tanti colpi di scena (uno, nel finale, poco verosimile), ma la fragilità dell’eroe, i sensi di colpa che si porta dietro (e che si traducono in angoscia per un presente cupo), il senso dell’amicizia e del sacrificio lasciano ammirati; come pure il rapporto con un giovane poliziotto/ammiratore (l’ottimo Joseph Gordon-Levitt) che è una prefigurazione del fedele Robin. E l’epilogo è da applausi.
Altro film che suscita ammirazione per una Hollywood al suo massimo splendore è Skyfall, legato non a caso al precedente film. Perché il lavoro fatto da produttori e autori sulla saga di James Bond, giunta a 50 anni di vita, che prima della scelta (contestata) di Daniel Craig come 007 stava languendo, è stato intelligente, moderno, rivitalizzante. I puristi si sono rassegnati: qui non c’è quasi più nulla dell’eroe elegante, ironico, sciupafemmine e astutissimo; ma si è allargata la platea a un pubblico giovane o anche disinteressato finora alle gesta di Bond. Qui abbiamo un grande regista come Sam Mendes (American Beauty, Era mio padre, Revolutionary Road, American Life) che alterna non solo azione ai massimi livelli e le consuete bellissime donne, ma anche conflitti interiori, tempo che passa (nel primo film da agente segreto Craig era un novellino, qui lo vogliono mandare in pensione) e senso del Male in un’operazione che richiama appunto il lavoro fatto da Nolan su Batman ma rispetta il passato (tante le citazioni, argutissime, di famosi episodi della saga – e non solo). Anche qui l’alter ego è un “villain” con i fiocchi, un Javier Bardem biondo e gay, suadente e feroce. Anche qui si parla di sacrificio e di lealtà. E se ci mettiamo la bellissima canzone omonima di Adele, che si vuole di più?
Continuiamo con l’intrattenimento hollywoodiano migliore e troviamo un’altra saga completamente rilanciata, anche se meno popolare in Italia: quella di Star Trek, che il regista J.J. Abrams (diventato famoso con “Lost”, ma da noi amato al cinema per Super 8) ha rilanciato con il primo film del reboot (termine che indica la rinascita di una serie) due anni fa; ora prosegue il discorso con Into Darkness – Star Trek, dove non mancano spettacolo e sentimenti. E anche qui troviamo un “cattivo” di grande livello: John Harrison (l’ottimo attore inglese Benedict Cumberbatch), che mette in crisi il giovane e irruente capitano e l’acuto dottor Spock. Anche chi non è mai stato un fan della sere tv o della più modesta lunga serie di film per il cinema può seguire senza complessi di inferiorità, mentre chi è ferratissimo in materia coglierà citazioni raffinate. E non manca anche qui una riflessione profonda e attuale, tra desiderio di pace e sentimenti di vendetta, tra logica “protettiva” e disponibilità al sacrificio per un amico.
Lasciamo le serie storiche e passiamo a un altro intrattenimento di classe che ci viene da Hollywood, anche se con minori ambizioni e risultati non del tutto coerenti. Ma non c’è dubbio che con Now You See Me – I maghi del crimine ci si diverta parecchio, se si sta al gioco. Un quartetto di maghi, ognuno con una diversa qualità, viene riunito da un personaggio misterioso, sconosciuto anche a loro, e che li guida a distanza. Insieme compiono trucchi clamorosi in stadi e palazzetti gremiti, e man mano alzano il tiro fino a rapinare una banca; oltretutto a distanza: loro Las Vegas, e la banca ripulita in diretta a Parigi… Verità o trucco sofisticatissimo? Il modo per capire ci sarebbe, sostengono loro, ma non bisogna guardare troppo da vicino e così, in realtà, non vedere nulla… I poliziotti, americani e francesi, non ci capiscono nulla: in particolare un agente dell’FBI (il bravo Mark Ruffalo) rischia di perderci la testa, oltre che per la bella collega francese, anche per questo rompicapo. Ottimo ritmo, colpi di scena, trucchi a go-go e attori molto in palla (su tutti Jesse Eisenberg, che fu l’inventore di Facebook in Social Network, e Woody Harrelson). Peccato che il finale sciolga malamente i segreti: tra tutte le opzioni, quella scelta ci pare la più debole. Ma il divertimento rimane, e non è poco.
Divertimento non è forse la parola più appropriata per World War Z, tratto da un romanzo di fantascienza di Max Brooks (figlio del comico Mel Brooks), che vede un Brad Pitt – sempre più credibile, e qui anche produttore – nei panni di ex funzionario Onu che deve fronteggiare un’epidemia che si estende a macchia d’olio in tutto il pianeta e trovarne le cause; ergo, salvare il mondo. Assunto che ricorda Contagion di Steven Soderbergh, anche se qui si passa in fretta a un action catastrofico, non puerile però come tanti film simili: tra eroi e zombi, quel che rimane impresso è un marito e padre che fa di tutto per salvare moglie e figli, e allo stesso tempo chiunque altro possa aiutare. Ottima regia di Marc Forster, e per una volta ottimo anche il 3D. E breve ma sostanziosa particina per l’italiano Pierfrancesco Favino, che in pochi istanti si fa ricordare con un tocco di sensibilità che è nel suo bagaglio di interprete.
È sempre un disaster movie, ma legato a una cornice più realistica, The impossible, film diretto dallo spagnolo Juan Antonio Bayona con taglio spettacolare e attori anglosassoni (gli inglesi Ewan McGregor e Naomi Watts), ma incentrato su una storia vera. Ovvero l’odissea di una famiglia durante il terribile tsunami che devastò il sud-est asiatico nel 2004. Bayona viene dai film horror e a tratti si vede, nei toni thrilling e nell’indugiare in un paio di momenti su dettagli forti, ma ha il merito di descrivere l’esperienza di una famiglia normale (due coniugi, tre figli) che all’improvviso si vede scaraventata dal paradiso per turisti a un inferno di acqua e fango. E in cui i componenti sono separati e temono l’uno per la vita degli altri. Dal libro autobiografico di Maria Bélon, che visse quegli eventi, un inno alla speranza, alla famiglia, alla volontà di vivere e superare gli ostacoli. Con una Naomi Watts strepitosa (candidata all’Oscar per la sua prova) e con il giovanissimo Tom Holland, che interpreta il figlio maggiore Lucas, che tiene testa ad attori consumati e promette bene per il futuro. Emozionante, a dir poco, e capace di tenere a freno il rischio (che pure fa capolino) del sentimentalismo ricattatorio.
Cambiamo genere, anche se sempre di famiglia parliamo, con tre film di animazione che possono vedere insieme bambini e genitori. L’era glaciale 4 – La deriva dei continenti non è un episodio un po’ in calando rispetto ai primi, formidabili titoli della serie; ma ci si diverte ancora, eccome, a seguire le gesta del bradipo Sid e dei suoi amici. Senza contare il mitico scoiattolo Scrat alle prese con la sua amata ghianda: è per nasconderla sotto la neve che provoca il patatrac, ovvero la spaccatura del ghiaccio della calotta terrestre. Si assiste dunque, come da titolo, alla deriva dei continenti. Sid, la tigre Diego, il mammuth Manny con la moglie Ellie e la figlia Pesca (in crisi adolescenziale) devono fuggire, ma sono costretti a dividersi. E Diego, Sid (con nonna svitata al seguito) e Manny si ritrovano alla deriva su una nave di ghiaccio e finiranno in balia dei pirati. Riusciranno a ricongiungersi a Ellie e a sua figlia?
Sempre la preistoria e questioni di famiglia sono al centro del film I Croods, sorpresa di stagione: da Chris Sanders, regista di Lilo & Stitch e di Dragon Trainer, vediamo questa famiglia preistorica alla ricerca di un rifugio sicuro, dopo aver visto il proprio habitat ormai a rischio; ci sono i consueti scontri generazionali e di caratteri (anche qui ci sono un padre burbero e figlia ribelle: vero tema dell’anno nell’animazione, dopo Ribelle – The Brave e lo stesso Era glaciale 4), le gag azzeccate e il ritmo tambureggiante. E c’è un padre iperprotettivo quasi quanto quello di Nemo (ma non siamo dalle parti di quel capolavoro), mentre i temi del rispetto delle diversità e della lotta al pregiudizio non sono originalissimi, ma ben trattati. Il carattere forse più centrato è in realtà Guy, un ragazzo di cui si innamorerà la rampolla dei Croods, uomo più “evoluto” che usa l’intelligenza più che la forza. La scena più bella: lo stupore della famiglia davanti alla volta stellata.
Molto riuscito è poi risultato Ralph spaccatutto, film natalizio della Disney forse troppo sottovalutato dal pubblico che non lo ha premiato molto. Ralph è il protagonista di un videogioco anni ‘80, che nella finzione del videogame distrugge un palazzo che poi il suo rivale Felix Aggiustatutto sistema. Ma, uscendo dal suo microcosmo ludico, Ralph soffre ormai il suo ruolo di cattivo: tutti gli altri personaggi lo evitano, dorme in una discarica e vorrebbe cambiare vita. Una sera, quando la sala giochi chiude e i personaggi dei vari videogiochi possono muoversi da una console all’altra attraverso i cavi di alimentazione, scappa alla ricerca di un altro videogioco dove possa “fare il buono”. Combinerà disastri e si metterà nei guai; ma avrà modo di aiutare una ragazzina che corre in auto in un videogioco ambientato in un panorama di dolciumi vari. Interessante la figura di Ralph come emarginato in crisi di identità, ottime le scene d’azione, bello lo sviluppo della storia e dei suoi colpi di scena. Manca qualcosa per diventare un classico e forse il disegno è un po’ lontano dai canoni consueti dell’animazione classica e troppo retro; ma si fa guardare e apprezzare.
L’ultimo film di questa carrellata è completamente diverso da tutti gli altri. È firmato da Ken Loach, regista britannico di note simpatie “rosse” e arrabbiato con il sistema, autore di grandi film comeRiff Raff, Piovono pietre, Il mio amico Eric e tanti altri. In realtà Loach, che prende sempre le parti degli ultimi della società britannica, alterna alcuni film durissimi ad altri – i migliori – in cui il sorriso prevale sul dramma, che pure non è mai negato, regalando una nota di speranza a personaggi disgraziati ma guardati con commossa simpatia. Così è La parte degli angeli, che inizia con un ragazzo processato per un pestaggio violento e poi vittima di vari ceffi (tra cui il suocero) che ce l’hanno con lui. Robbie è un disadattato, ma vuole cambiar vita per il bene della sua ragazza e del figlio che hanno appena avuto. La sua fortuna è che viene affidato a Henry, addetto ai servizi sociali che deve gestire altri sbandati come Robbie insegnando un mestiere e facendo tornare motivazioni di cambiamento. Soprattutto, andando in giro con Henry, Robbie scopre un talento inaspettato: un “naso” raffinato nel riconoscere i diversi tipi di whisky (la parte degli angeli è quella parte di alcool che ogni anno evapora nell’aria). Un talento che lo fa maturare e accrescere la sua voglia di trovare la sua strada fuori dal contesto violento in cui è cresciuto; certo, in modi non del tutto legali, ma Loach ama spesso forzare le regole, se a fin di bene. E quel che rimane più impresso è l’amicizia che si crea con gli altri compagni di sventura (meno saldi di lui nel voler rigar dritto) e la gratitudine per chi gli ha dato una possibilità di ripartire per una nuova vita.
(4 – continua)