I 60 ANNI DALLA “SACROSANCTUM CONCILIUM”, UNA RIFORMA ANCORA DA COMPLETARE
Sessant’anni dopo la pubblicazione della Sacrosanctum Concilium (SC) del Concilio Vaticano II, la Chiesa italiana torna su quel momento storico che segnò una vera riforma liturgica mondiale e afferma come ancora vi siano potenziali miglioramenti da adottare per incarnare appieno il giusto “mix” tra linguaggio moderno e tradizione del rito. Ne parla con l’Avvenire il vescovo di Mantova, mons. Gianmarco Busca, presidente della Commissione Episcopale per la Liturgia intervenuto al convegno dell’Ufficio Liturgico Nazionale proprio per fare il punto sull’applicazione della riforma conciliare.
«La riforma non poteva ritenersi conclusa solo con la pubblicazione di nuovi libri liturgici», spiega il vescovo sottolineando come nel tempo doveva maturare una capacità celebrativa dei sacerdoti che sarebbe dovuta andare di pari passo con l’esperienza di fede dei credenti e delle comunità. “Luci e ombre” sono invece i risultati secondo Busca che si possono leggere oggi in merito alla riforma liturgica: «la richiesta della riforma era di alta qualità ma le nostre comunità cristiane hanno conosciuto un ridimensionamento non solo numerico ma anche di spessore della vita cristiana». Critiche vengono dettate anche alla produzione liturgica, specialmente sul fronte canti, «non sempre di buona qualità», osserva il vescovo di Mantova assieme alle problematiche nate sui modelli celebrativi “concreti” che ispirarono la riforma del Concilio. Troppa autoreferenzialità dei celebranti, spesso, non ha permesso di aprirsi pienamente con Dio: «Abilitare al celebrare non è qualcosa che avviene a tavolino o immediatamente. Ci sono stati tentativi poco felici di rendere la liturgia più fruibile, talvolta l’eccesso di verbosità ha rischiato di trasferire i linguaggi della catechesi dentro il rito».
CEI, MONS. BUSCA: “LA LITURGIA DEVE ESSERE VIVA, ECCO COME”
Per il vescovo Busca spesso un problema è stato anche il non avere esperienze “paradigmatiche” all’altezza dei modelli, mentre tra le “luci” va assolutamente annoverata la riscoperta che Bibbia e Liturgia sono un binomio «imprescindibile per l’esperienza cristiana». Nel salvaguardare sempre la Parola di Dio, il consiglio dato dalla CEI oggi è quello di insistere sempre per mantenere la liturgia “viva”, «capaci di evangelizzarci, e di aprirci all’incontro con Dio».
La liturgia, continua il vescovo Busca, implica uno scatto e il passaggio «di una soglia», «l’ingresso in un mondo altro che è quello dell’umano trasfigurato dal divino. Perciò il silenzio, l’adoperare un linguaggio diverso da quello della strada restano fondamentali». Durante il Convegno è stato sempre il rappresentante della CEI a indicare la necessità di una liturgia, come di una Chiesa, “in uscita”: «una liturgia non autoreferenziale che ci proietta in un sacro separato, ma che è capace di ospitare il realismo della dimensione umana», un rito che entra nella vita e «la vita deve entrare nel rito in una osmosi continua dei vissuti portati all’altare e deposti davanti a Dio».