Lega ferma al 34,7%, dicono i sondaggi di Tecnè, una quota sufficiente per competere testa a testa con la somma dei voti che oggi prenderebbero insieme Pd (19%, in calo dello 0,6%) e M5s (15,8%, cioè 0,1% in meno rispetto all’ultima rilevazione). Anche Italia Viva perde 0,3 punti (dal 4,4% al 4,1%), mentre Forza Italia continua a galleggiare poco sopra l’8% (8,2%). Cresce di 0,5 punti percentuali Fratelli d’Italia (dal 9% al 9,5%) e ancor più cresce il gradimento verso Giorgia Meloni, che con il 22% arriva a insidiare il primato di Matteo Salvini (23%). A seguire Nicola Zingaretti (21%), Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi appaiati al 19%, mentre Matteo Renzi chiude questa griglia distanziato al 9%. E il premier Giuseppe Conte? “Gode ancora di una fiducia superiore al 30%, perché viene percepito come un mediatore, ma i giudizi negativi su di lui stanno aumentando”. In mezzo a tutte queste cifre, secondo Carlo Buttaroni, presidente dell’istituto Tecnè e direttore di T-Mag, emerge un dato di fondo: “Per il governo e per la politica nel suo complesso è una fase di bassa marea. Anche per l’opposizione, visto che la stessa spinta della Lega si sta attenuando”.



Come si sta muovendo, invece, il consenso verso un governo, il Conte 2, che fin dalla sua nascita non ha goduto di quella luna di miele che di solito si concede ai nuovi esecutivi? La fiducia cala ancora?

A parte l’ultima settimana che ha fatto registrare un piccolissimo rimbalzo positivo, il gradimento verso il governo sta intorno al 25-26%. Molto basso.



Non piacciono le divisioni tra gli alleati giallo-rossi, l’inerzia dell’esecutivo su alcuni dossier delicati e le misure che si profilano nella prossima legge di Bilancio?

I continui conflitti interni alla maggioranza e l’impianto della manovra 2020 non lasciano intravvedere quella svolta che ci si aspettava. Tutto questo sta penalizzando i partiti della maggioranza, perché sta emergendo un’alleanza senza caratura, senza orizzonte politico. Questa legge di Bilancio piace ad appena il 20% degli italiani. Manca l’impronta, come dice lo stesso Zingaretti. A parte la questione della sterilizzazione dell’Iva.



Una mossa ormai metabolizzata dall’elettorato, non crede?

Sì, è così. Ma pensi solo al tema del cuneo fiscale, ridotto ormai a intervento omeopatico. È una manovra di buoni propositi, fatta un po’ a babbo morto quanto a possibili dividendi. L’Italia invece continua a essere un paese che soffre economicamente ancora molto e in cui c’è una micro-imprenditoria diffusa che respira in modo negativo la pressione fiscale e burocratica che si sta mettendo, a partire anche dalle sanzioni, dalla stretta sull’evasione fiscale.

Il messaggio del governo “manette agli evasori” non è tranquillizzante, non è condiviso?

Dovrebbe punire gli evasori sì, e sarebbe cosa sacrosanta, ma in realtà rischia di mettere sotto pressione anche gli onesti, quelli costretti ogni mese a sistemare la contabilità. In Italia, su 23 milioni di occupati, un quarto sono lavoratori in proprio, partite Iva, artigiani, commercianti. Si sta creando un clima di tensione eccessivo, e sappiamo come in Italia possano arrivare cartelle esattoriali sbagliate o come sia non infrequente, vista la complessità delle nostre norme fiscali, che si incappi in qualche errore formale…

Quindi parlare di taglio delle tasse può colpire nel segno?

Certo. Basti pensare che il costo stimato della gestione fiscale per le imprese è pari a circa 60 miliardi in più della media europea. E chi ne risente di più sono proprio i piccoli imprenditori.

Renzi critica con forza la manovra 2020 perché si basa su troppe micro-tasse. Una posizione che giova ai consensi di Italia Viva?

Renzi, avendo già avuto esperienza di governo, è poco credibile. Per il centrodestra invece il taglio delle tasse può essere una carta importante. Ma non c’è solo il peso del prelievo fiscale, c’è anche la farraginosità delle tasse.

Di Maio, Salvini, Zingaretti, Renzi: secondo alcuni sondaggi, il gradimento verso i big è in calo. Lo conferma anche lei?

Dopo l’agosto nero, Salvini ha recuperato consensi e fiducia nell’opinione pubblica, e oggi è al 23%, comunque sotto rispetto a un anno fa. Berlusconi è stabile al 19%, perché conferma il suo elettorato di fiducia. Renzi (9%) oggi è in leggero calo, ha sofferto la vicenda della Fondazione Open, un tema che ha colpito gli italiani più del Mes. In forte calo Di Maio (19%) rispetto a un anno fa: paga le contraddizioni, alcune scelte di governo impopolari e la perdita di identità del M5s.

E il premier Conte?

Il gradimento per il Conte 1 era altissimo, il Conte 2 è decisamente più basso, pur mantenendosi sopra il 30%: gode di minore ostilità perché è visto ancora come un mediatore, però i giudizi negativi nei suoi confronti sono in aumento.

Se si andasse alle elezioni oggi, chi vincerebbe?

La Lega oggi è al 34,7%, un consenso praticamente in linea con la somma dei consensi di Pd (19%) e M5s (15,8%). E il centrodestra supererebbe certamente il 50%, anche perché, forse più di prima, non ha avversari, proprio per la conflittualità interna del governo.

A spingere il centrodestra è anche la crescita, impetuosa, della fiducia verso Giorgia Meloni, oggi al 22%. Come se lo spiega?

La Meloni ha una capacità dialettica evoluta e raffinata: piace alle persone semplici per la sua chiarezza e immediatezza e a quelle più colte, che apprezzano la sua coerenza e il suo modo di esporsi. Ecco perché piace non solo a chi fa riferimento al perimetro del centrodestra.

Perché tutto questo non si riflette con un effetto trascinamento sui consensi, pure in aumento ma solo al 9,5%, del suo partito, Fratelli d’Italia?

FdI è un partito troppo identitario, non riesce a porsi come un partito capace di aggregare sensibilità diverse. È il suo limite.

La Meloni sta togliendo consensi a Salvini e alla Lega?

Un po’ sì e un po’ meno li toglie pure a Forza Italia. Dopo le Europee FdI è salito dal 6,5% a poco meno del 10% e sta recuperando consensi in quell’area di persone che transitano da un partito all’altro, quelle non vincolate da un punto di vista ideologico. Ed è una crescita che è tutta trainata, appunto, da Giorgia Meloni.

Se Fratelli d’Italia riuscisse ad aprirsi un po’ di più e arrivasse ad assomigliare di più al modo di porsi della Meloni, fin dove potrebbe potenzialmente spingersi?

Si trasformasse in un partito conservatore-repubblicano, FdI avrebbe ampie potenzialità di crescita: tutto il consenso verso la Meloni potrebbe diventare consenso elettorale.

Secondo l’ultimo sondaggio di Eurobarometro, l’euro perde consensi solo in Italia. Tra gli italiani torna a crescere un certo euroscetticismo?

Seppure con qualche oscillazione, gli italiani rimangono europeisti e anche l’uscita dall’euro fa paura, è considerata un’incognita: nei nostri sondaggi, i contrari all’uscita dall’euro sono costantemente sopra il 60% e i favorevoli intorno al 20%. Ma che la fiducia nell’euro sia in calo, non deve stupire, perché nei rapporti con l’Europa restano alcuni nodi da sciogliere, soprattutto dopo le Europee.

Che cosa pesa?

Il fatto che le istituzioni della Ue non abbiano ancora mantenuto le promesse di cambiamento verso un nuovo indirizzo politico più attento al sociale e alle esigenze dei cittadini che alla sola stabilità monetaria. La Ue sta perdendo mesi preziosi e la fiducia nel frattempo si deteriora.

C’entra anche il caso Mes, che sta infiammando il dibattito politico? Che percezione ne hanno gli italiani?

Sul Mes il livello di conoscenza degli italiani è ancora bassissimo. Nel nostro paese solo sei persone su dieci si informano tutti i giorni sulle vicende politiche. Sull’economia sono ancora di meno e ad andare così in profondità sono davvero pochi. Anche se il messaggio è stato molto semplificato, il Mes non ha un’incidenza significativa sull’opinione pubblica e sugli orientamenti di voto. È una vicenda dai contorni ancora poco chiari e pochi capiscono quali potrebbero essere gli eventuali effetti.

Salvini e la Lega, però, puntano con grande insistenza sull’allarme che il nuovo Mes mette a rischio il risparmio degli italiani. È un messaggio che può far breccia?

Non credo più di tanto, per il momento, o almeno finché non si arriverà a un dibattito parlamentare.

(Marco Biscella)