Dino Buzzati è un personaggio che ci sorprende per la sua attualità. Proprio per questo si può parlare di lui anche al di fuori delle usuali citazioni legate alle ricorrenze, biografiche oppure editoriali, che normalmente sono l’occasione privilegiata di aderenza con il presente. Buzzati ha scritto romanzi e racconti che sono stati – e sono tuttora – letti da un vasto pubblico: si pensi solo al Deserto dei tartari vero e proprio best seller. Ma nella sua conclamata fortuna editoriale si cela purtroppo quel meccanismo negativo che l’ha condannato ad essere l’autore solo di un campo ristretto di titoli. Si è persa così non solo la dimensione polivalente del suo linguaggio ma soprattutto la motivazione profonda del suo essere artista presente in vari contesti: dal giornalismo alla pittura, dalla narrativa alla sceneggiatura, dal bozzetto all’aforisma. In tal modo si è assopita la ragione esistenziale che si annida in quel suo particolare modo di osservare la realtà, di raccontarla stando al suo interno ma nel contempo anche di certificarne i simboli: segni che sorprendono e catturano il lettore nonostante la loro indecifrabilità.



È la costante meraviglia che sorge davanti a ciò che appare come inconoscibile ma che si vorrebbe ricondurre negli schemi della ragione razionalista, davanti a quella porta che apre all’assoluto o più semplicemente al mistero, ma che Buzzati ha sempre cercato di capire. Ecco perché Montale, nella intima consonanza tematica con questa ricerca di un possibile “varco” nella realtà, l’ha definito naturaliter cristiano. Proprio per la sua incessante tensione a qualche cosa d’altro. Buzzati come è noto ha affermato di non essere credente, ma ciò non toglie che appartiene alla vita, all’onestà dell’intellettuale, la ricerca della verità, di una possibile risposta di “senso”.



Buzzati si smarca dall’irrazionale e dall’assurdo, nonostante che alcuni quadri o racconti sembrino incupirsi nell’urgenza del male e della paura, in particolare dell’ossessiva attesa della morte. Ma il suo animo inquieto accerchia la realtà da punti di vista differenti e tramite il segno, verbale o iconico che sia, cerca di interpretarla attraverso la narrazione. Ne scaturisce una pagina che dalla minuzia ossessiva per il dettaglio passa alla surreale attesa di un accadimento, dal grottesco all’incubo, dall’immediato evento di cronaca al gusto di rintracciare consuetudini popolari, tra folclore e magia.



Ma nella pluralità semantica si riconosce l’unità dell’intento e della persona: proprio con questo obiettivo, è uscito il nuovo dossier di Linea Tempo: Buzzati, un percorso tra realtà e mistero.

I numerosi interventi che vi appaiono esplorano il mondo di Buzzati da punti di vista molto differenti: c’è la cronaca, quella nera in particolare (Zaccuri), ma anche quella al seguito del Giro d’Italia ai tempi di Bartali e Coppi (Grieco), c’è lo scrittore di romanzi, di racconti e aforismi, c’è il pittore e il fumettista (Caprioli, Valcamonica, Carenzi, Matuonto, Lo Pinto, Baroni, Sponza).

Esiste una forma di scrittura che Buzzati ha prediletto? A sparigliare le carte è stato lo stesso scrittore che in un celebre aforisma aveva detto che la pittura era la sua vita, mentre scrivere era solo un hobby. Lo snodo critico infatti è proprio qui: la necessità di una sintesi (Pignatari) in uno stile che tocca il fantastico, misterioso, magico, mistero.

Buzzati è un vero e proprio bricoleur e visionario (Arslan) che si declina nell’attualità (Caspani, nelle interviste a Mencarelli e Fornasieri), oppure nella didattica (Lesma), ma non solo; si dichiara al lettore oggi, in un possibile originale contrappunto (Bellaspiga) con i comportamenti sociali diffusi di fronte al Coronavirus.