Una vera e propria maledizione che aleggia su uno degli edifici più sinistramente suggestivi della città lagunare oppure una di quelle leggende che si tramandano da tempo e che pian piano si sono sedimentate nella memoria collettiva anche per via di coincidenze, curiosi parallelismi oltre che per quegli scherzi del caso che portano a una, anche se comunque innocua, suggestione di massa? È questa la domanda che i cittadini di Venezia e anche i turisti si fanno quando sono in presenza di Ca’ Dario, il bellissimo palazzo situato nel sestiere (una delle sei zone in cui è divisa l’ex Repubblica Marinara) di Dorsoduro e vengono a conoscenza delle macabre e luttuose storie che aleggiano attorno ad esso, tanto da essere indotti ad ammirarlo… ma solo da fuori. Ma perché questo curioso edificio che presenta tanti elementi in stile rinascimentale e dalla facciata asimmetrica che si specchia nel Canal Grande ha questa nomea e la leggenda ha un qualche fondo di verità oppure no? Andiamo a scoprirlo di seguito partendo dalla sua storia che affonda le sue radici nella seconda metà del Quindicesimo secolo e che secondo alcuni fu costruito sui resti di un antico cimitero dei templari per spiegarne la maledizione, mentre secondo altri ospita i fantasmi di tutti i suoi precedenti proprietari che a causa sua hanno poi trovato la morte.
IL MISTERO DI CA’ DARIO A VENEZIA
Il Palazzo Ca’ Dario prende il nome da Giovanni Dario, un esponente molto in vista della Serenissima che, per via dei meriti accumulati nella sua attività diplomatica, ricevette in dono una ricompensa in danaro per dare vita nel 1479 all’omonimo edificio: il palazzo, realizzato dall’architetto Pietro Lombardo con la facciata asimmetrica di circa dieci metri, spicca nettamente rispetto agli altri edifici di Dorsoduro: ubicato tra San Polo e Santa Croce, è un edificio che se per bellezza e suggestività rivaleggia con palazzi quali Ca’ d’Oro, vede gravare su di se quella che per qualcuno è una maledizione: infatti si narra che chi vi soggiorni o sia stato suo proprietario vada incontro a una terribile sorte. Dopo la morte di Dario, che si era guadagnato l’appellativo di “salvatore della patria”, l’edificio restò in possesso della famiglia Barbaro (di cui faceva parte Vincenzo che sposò la figlia di Giovanni) fino al 1800 quando fu venduto a un commerciante armeno di pietre preziose. Va ricordato che del palazzo parla John Ruskin, scrittore e critico d’arte britannico, tra i più grandi narratori di Venezia, mentre Claude Monet usò Ca’ Dario come soggetto per una sua serie di dipinti impressionisti (1908).
IL “PALAZZO MALEDETTO”: REALTA’ O SOLO LEGGENDE?
Tuttavia il motivo per cui Palazzo Ca’ Dario è tristemente noto non è la sua originalità da punto di vista architettonica e la bellezza di alcuni elementi interni ma per via della scia di sangue che negli ultimi secoli ha costellato la sua storia: infatti già Marietta, la figlia di Giovanni Dario, si suicidò a seguito del dissesto finanziario delle attività del marito, il citato Vincenzo Barbaro, mentre che morì di morte violenta, accoltellato, mentre addirittura il loro figlio Giacomo fu ucciso in un agguato in quel dell’isola di Creta. Ma la catena di eventi di cronaca nera non si esaurisce qui perché lo stesso commerciante armeno di cui sopra andò incontro alla bancarotta dopo essere diventato proprietario del Palazzo. Una volta che lo ebbe venduto, passò di mano a tale Rawdon Brown che fu costretto anch’egli a sbarazzarsene: ma se questa catena di coincidenze riguarda i proprietari, anche gli ospiti non furono immuni dalla maledizione (vera o presunta) dato che il poeta francese Henru de Régnier contrasse proprio qui una grave malattia mentre il miliardario statunitense Charles Briggs dovette lasciare in fretta e furia Ca’ Dario per i pettegolezzi sulla sua omosessualità e successivamente fu colpito dalla morte per suicidio del suo amante. Non solo: ai giorni nostri il conte Filippo Giordano delle Lanze trovò una morte violenta al suo interno (1970) per mano di un marinaio croato, suo amante; senza dimenticare le disavventure finanziare occorse ad altri ospiti come Christopher Lambert, storico manager degli Who, mentre Fabrizio Ferrari e Raul Gardini (ex manager Enimont coinvolto in “Mani Pulite”) morirono il primo in un incidente stradale e il secondo suicidandosi nel 1993 in circostanze però mai chiarite. E fu proprio la morte di Gardini ad allontanare da allora altri compratori, col solo Woody Allen che ci provò una ventina di anni fa prima che nel 2006 passasse in mano a una società americana per conto di un acquirente ancora ignoto con l’obiettivo di restaurarlo. Ah, dimenticavamo: quattro anni prima John Entwistle, bassista proprio degli Who, morì qui di infarto nel corso di una vacanza a Venezia…