«Mi vergogno di aver firmato quell’appello contro Luigi Calabresi»: non è la prima volta che lo storico ed editorialista Paolo Mieli fa pubblica ammenda sul manifesto di intellettuali che individuò nel commissario milanese il vero responsabile doloso della morte di Pietro Pinelli, anarchico caduto dalla finestra della Questura di Milano dopo la strage di Piazza Fontana. L’occasione di ritornare alla memoria di quelle tristi pagine della cronaca italiana è offerta ovviamente dall’operazione “Ombre Rosse” con la quale 9 ex terroristi ex comunisti (Lotta Continua, Brigate Rosse e Pac) sono stati arrestati (e ora si trovano in libertà vigilata in attesa dell’estradizione) in Francia negli ultimi due giorni.



Intervenuto ieri a Piazzapulita dopo Mario Calabresi – giornalista e figlio del commissario assassinato da un commando rosso orchestrato da Lotta Continua il 17 maggio 1972 – Mieli ribadisce le sue scuse «Perché lo ha fatto? E cosa ha pensato anni dopo di questo. So che fa strano dirlo, ma in quegli anni pensavamo davvero che ci fosse la mano della Stato ovunque, anche se i conti in certi casi non tornano neppure ora. Le stragi, pensavamo che Pinelli fu scaraventato giù dalla finestra, c’era un clima da vigilia di colpo di Stato». Lui come Bobbio, Scalfari, Eco e tantissimi tra gli intellettuali di sinistra dell’epoca firmarono quel manifesto che di fatto creò il clima mediatico ostile al commissario Calabresi lasciandolo di fatto solo in balia del suo destino di “capro espiatorio” (scagionato da ogni colpa e responsabilità sulla morte di Pinelli solo dopo la sua atroce morte avvenuta sotto casa). «Anni dopo ho fatto più di autocritica. Io mi vergogno, non provo a rivendicare quanto accaduto: facemmo un errore. Erano gli anni di Pasolini: “io so chi è stato, non ne ho le prove ma lo so”. Non voglio paragonarmi a Pasolini. Da quella volta, però, mi sono dato un comandamento: prima di dire “io so ma non ho le prove”, devi riflettere. Se sei un intellettuale o un giornalista serio, prima le cerchi quelle prove», ribadisce Paolo Mieli.



L’APPELLO DI MARIO CALABRESI

Poco prima il figlio del commissario ucciso, Mario Calabresi, in una breve intervista con Formigli ribadisce tutta la sua poca “soddisfazione” nel vedere consegnati alla giustizia uomini di 70 anni come Pietrostefani: ma, a differenza della mamma Gemma Capra Calabresi che ha imbracciato la strada del perdono e della fede proprio a partire dal dramma di quell’attentato, lui non riesce a darsi pace non tanto per la giustizia ma per la mancanza di verità che resta attorno a quei terribili Anni di Piombo. «Visto che hanno avuto un’impunità, non hanno mai pagato per quello che hanno fatto. Potrebbero darci un pezzo di verità, potrebbero fornire il racconto di quegli anni. Conoscono pezzi del puzzle che sono ancora in ombra, ci diano la verità. Potrebbe servire anche allo Stato», spiega Calabresi ribadendo quanto oggi diversi protagonisti di quell’epoca sono ancora in tv, sui giornali, nella cultura quotidiana a “pontificare” senza aver mai detto una parola di scuse o meglio aver aggiunto frammenti di verità sull’omicidio Calabresi. «Anche Adriano Sofri sa delle cose ma non le ha mai voluto dire», aggiunge amaramente l’ex direttore di Repubblica. Rispondendo di fatto indirettamente a Mario Calabresi, Paolo Mieli ha poi aggiunto nel suo intervento a La7 «Facemmo un errore abbiamo dato una colpa a qualcuno con una scusaDicevamo: “io so chi è stato non ho le prove. Ma so chi è stato”. A fare: ‘io so ma non ho le prove tanto poi pagano altri.’ Tanto poi a sparare sono altri e io poi vado avanti e ridirò la stessa cosa: ‘io so, ma non ho le prove’. Beh, io mi vergogno davvero di quella cosa. Non è una bella pagina della mia vita”».