Raffaele Calabrò, componente del Comitato Nazionale di Bioetica, ma anche docente ordinario di cardiologia a Napoli, sulle pagine del quotidiano Il Mattino ha pubblicato un intervento dove riflette in merito alla questione della maternità surrogata, spesso chiamata “utero in affitto”. Una pratica che non vede di buon occhio, e ci tiene a sottolinearlo subito, sostenendo che “io vedo soltanto sfruttamento di una situazione di vulnerabilità e logica di mercato“.



Calabrò, però, ci tiene a sottolineare anche in cosa consista, concretamente, la pratica della maternità surrogata. Prevede, spiega, “che venga impiantato nell’utero della madre surrogata un embrione creato in laboratorio attraverso la fecondazione in vitro”. Una gravidanza che ritiene essere, insomma, “tutt’altro che naturale e che può comportare una serie di rischi e di conseguenze fisiche e psicologiche sia per la madre che per il feto ed il neonato”. Secondo Calabrò non sarebbe sufficiente giustificarla con il concetto di autodeterminazione, perché per applicarla, questa, “deve essere scevra da ogni condizionamento economico, sociale e culturale”.



Calabrò: “Si lavori, piuttosto, su affidi e adozioni”

Per Calabrò sarebbe inammissibile il pensiero che una “donna mediamente istruita e che non ha difficoltà ad arrivare a fine mese, [accetti] di sottoporsi a un trattamento di terapie ormonali che oltre a incidere pesantemente sul benessere fisico e psicologico, aumenta il rischio di complicanze e di possibili danni”. Una scelta del genere, spiega “è, più realisticamente, mossa solo da necessità e fragilità”, anche (e forse soprattutto) di tipo economico.

Mediamente, infatti, Calabrò spiega che dietro alla maternità surrogata si parla di cifre che vanno dai 40 mila ai 150 mila euro, in base allo stato che effettua la pratica. A poco servirebbe anche il principio di maternità surrogata altruistica, perché comunque “per funzionare, inevitabilmente richiede e determina l’esistenza di un mercato” e di ingenti scambi economici che potrebbero portare le agenzie a “reclutare con tutti i mezzi un numero crescere di donne da ‘affittare’, soprattutto in zone più deprivate economicamente”. Secondo Calabrò, in chiusura, più che parlare di maternità surrogata “credo che il Legislatore dovrebbe quanto prima rivedere la normativa per facilitare affidamenti e adozioni” in un vero atto “di civiltà”.