Carlo Calcagni, colonnello del Ruolo d’Onore, è affetto da una serie di gravi patologie multiorgano e da una poneuropatia cronica, degenerativa ed irreversibile, con Parkinson. Si è ammalato mentre era in missione nell’ex Jugoslavia e, come lui, tanti altri militari. “Ringrazio Dio ed i medici che mi curano se sono ancora in vita. Ma il tempo è poco. Devo ancora fare tanto per gli amici militari che si sono ammalati come me, per colpa dell’uranio impoverito, ma non hanno ricevuto nemmeno il riconoscimento da parte dello Stato”, ha affermato in una intervista a La Verità.



Per sopravvivere, è costretto a sottoporsi quotidianamente a 7 iniezioni di immunoterapia ogni mattina e a 4-5 ore di flebo, nonché ad assumere 300 pastiglie al giorno e a far ricorso all’ossigenoterapia all’occorrenza. “Ero un ufficiale, un atleta, ero un paracadutista e pilota istruttore di volo. Poi la mia vita è stata stravolta. Ieri ho fatto una seduta di plasmaferesi di 7 ore. Poi sono tornato a casa e alle 5 del mattino ero di nuovo in piedi per andare a parlare nelle scuole. I giovani hanno bisogno di testimonianze e saldi punti di riferimento”.



Calcagni: “Armi in uranio mi avvelenarono in Jugoslavia”. Il dramma del colonnello

Il colonnello Carlo Calcagni è a conoscenza di ciò che ha provocato le sue condizioni di salute attuali. Nel 1996, quando era in missione per la Nato, sotto l’egida dell’Onu, i territori dei Balcani venivano bombardati con tonnellate di uranio impoverito. “I documenti ormai sono pubblici. Non c’è nulla da nascondere. Ho pubblicato una videocassetta, che i vertici della Nato avevano inviato, già nel 1995, a tutti gli Stati membri dell’alleanza, quindi anche all’Italia, spiegando le precauzioni da adottare in quelle zone d’intervento”. Nessuno, però, ne diede comunicazione ai diretti interessati.



Lo Stato adesso nega le sue colpe. La scorsa settimana però la Cassazione ha stabilito che chi è stato esposto alle polveri e nanoparticelle da metalli pesanti ha diritto ad un risarcimento. “Dopo 20 anni, è un risultato importante. Ma ci è voluto tanto tempo per questo riconoscimento. Quando ho iniziato la mia battaglia ero solo. Tanti commilitoni hanno preferito tacere per paura di perdere la pensione o di lasciare la propria famiglia senza uno stipendio. Io sono andato avanti”. La sua lotta continua tuttora.