È il 31 marzo quando si riunisce il Consiglio di amministrazione della As Roma, all’ordine del giorno c’è l’approvazione della situazione finanziaria mensile al 29 febbraio 2008, ma se non si parla della possibilità della cessione della società non è per quel motivo: «Non se ne parla perché chi deve sapere già sa», si dice. Tradotto: perché i contatti tra gli americani e la società di Trigoria sono da tempo allacciati. L’accordo di massima prevederebbe 210 milioni di euro ai Sensi, ma un report di ItalPetroli blocca tutto. Perché il debito che il gruppo dei Sensi ha nei confronti di Unicredit (quasi 370 milioni di euro) verrebbe sì ridotto, ma non in misura sufficiente da consentire alla Famiglia di fronteggiare la parte rimanente, compresi gli interessi passivi da onorare. Il tutto andrebbe affrontato senza poter contare sulla proprietà di As Roma, che oltre ad essere un’azienda che produce utili, costituisce pur sempre una carta importante da potersi giocare anche a livello politico. Insostenibile, fatti due conti. È il 18 aprile quando gli uomini della Inner Circle Sports si trovano di fronte all’avvocato dei Sensi Gian Roberto De Giovanni convinti di chiudere ma si sentono rispondere che c’è una offerta araba superiore di 90 milioni rispetto a quella americana. Fanno 300 tondi tondi. È una offerta dell’ultim’ora, le garanzie sono poche, mentre il possibile accordo con Inner Circle è frutto di uno studio minuzioso portato avanti da mesi. Resta l’opzione preferibile, la Roma è disposta a non prendere in considerazione l’offerta araba (che si rivelerà fasulla), qualora quella americana salga. A quanto? Alla cifra che consenta al gruppo Sensi di mantenere l’esposizione verso Unicredit entro una soglia che non crei squilibrio tra interessi passivi sul debito e utili futuri. La soglia è a 120 milioni e quindi, il calcolo è rapidissimo, la richiesta è di 250 milioni. Meglio ancora, 260. Nel momento in cui Soros dovesse acconsentire ad offrire questa cifra, di 50 milioni superiore rispetto a quella su cui si era già trovato un accordo di massima, il 66% delle azioni della Roma diventerebbero sue. Poi partirebbe l’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) obbligatoria per mettere mani sul resto del capitale azionario. (fonte il romanista)



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