Avevamo anticipato che questa sarebbe stata una settimana decisiva per il futuro societario della Roma. Al momento non è ancora dato sapere se i Sensi lasceranno spazio ad altri investitori (sempre che ce ne siano…), ma almeno – purtroppo – una cosa è certa. Il principale indiziato all’acquisto del club giallorosso, George Soros, ha abbandonato definitivamente la scena. E lo ha fatto per bocca del suo portavoce, Michael Vachon, che ha comunicato la decisione del magnate americano di non perseguire il progetto-Roma, precisando che «nè Soros, nè alcuna della sue affiliate parteciperà ad eventuali operazioni di finanziamento del club capitolino».



A parte l’esito della vicenda, per i più scontato, c’è un elemento di ulteriore chiarezza che viene a galla. Se Soros in persona conferma di non avere più interesse nei confronti della Roma, significa che ne ha avuto, quantomeno fino a poco tempo fa. E questa affermazione smentisce in modo ufficiale le comunicazioni scritte di questi giorni diffuse da Italpetroli e cavalcate da alcuni organi di stampa. Quindi l’interesse del magnate americano era reale, così come un abbozzo di trattativa. Non era un’invenzione giornalistica. La cosa incomprensibile è come mai questa verità non sia mai stata raccontata con la stessa semplicità con cui sta emergendo nelle ultime ore.



Forse perché qualcuno non vuol assumersi la responsabilità del mancato matrimonio? Crediamo che nei paraggi di Trigoria non si sia capita fino in fondo la partita che si stava giocando, soprattutto si sia sottovalutato l’interlocutore. Non crediamo per superficialità. Piuttosto ci si è chiusi in difesa, contro l’invasione dello straniero, pensando di potersi rialzare con le proprie forze e di mantenere saldo il timone.

Ma la situazione della Famiglia Sensi, oggi, è ben diversa da quella del 2004, quando ad acquistare la società ci provarono i russi della Nafta Mosca. Allora la Famiglia fu capace di presentare un piano di risanamento del gruppo Italpetroli, a lunga scadenza, che trovò il benestare del Banco di Roma. Quello stesso piano che non è mai stato portato a termine, e su cui oggi Unicredit chiede precise garanzie per rientrare dal debito accumulato di 377 milioni.



Si sa che Rosella ha sperato fino all’ultimo, e forse anche per questo ha “snobbato” Soros, di fare cassa cercando di vendere altri asset del gruppo che non fossero la As Roma. Il tentativo però è fallito. Ormai i Sensi appaiono con le spalle al muro. Devono trovare i soldi per ripianare il deficit della controllante Italpetroli per far certificare il bilancio della stessa dalla Pricewaterhouse, che l’anno scorso lo approvò con riserva, e che questa volta non è intenzionata a fare sconti.

La cessione della As Roma che, qualche settimana fa, rappresentava la soluzione più semplice e ragionevole, appare in questo momento la più complicata. Non più perché i Sensi non vogliono vendere, ma perché i possibili acquirenti sembrano essere tutti scappati. E così i ruoli si sono invertiti. Per ora il silenzio regna sovrano. Non si capisce se dettato dall’imbarazzo di una situazione che non lascia alternative o perché sotto traccia si stia lavorando a una nuove soluzioni con altri protagonisti. Saremo pure nel campo delle ipotesi, ma non siamo comunque lontani dalla verità. Per un desiderio di chiarezza, non certo per fini speculativi, ci permettiamo di pensare che sotto-sotto qualcosa ci sia, che la situazione sia ancora in movimento. Lo dice la borsa (con il suo andamento oscillante), lo dicono i procuratori che parlano di un mercato della Roma in stand by per l’incerta situazione societaria, lo dice Antonio Matarrese che “spera” in una soluzione positiva della vicenda per i Sensi. Nessuno scoop, come vedete, ma elementi sotto gli occhi di tutti, che noi abbiamo voluto leggere in questo modo. Oggi fortunatamente è un altro giorno. E magari ci verrà in soccorso qualche nuovo elemento a fare ulteriore chiarezza. Per il bene della Roma e dei suoi tifosi.