Matteo Villani ha raggiunto quasi allo scadere la qualificazione ai giochi di Pechino ed è stato introdotto in un sogno che ha sempre sperato di vivere. Alle Olimpiadi si misurerà sui 3.000 siepi, non ha ambizioni da medaglia ma vive lo sport non solo per il mero risultato perché “tanto prima o poi si trova uno più forte”. Per lui ma anche per gli altri interpreti dell’atletica l’attesa è ancora lunga, l’atmosfera olimpica è ancora lontana: le prime gare, infatti, iniziano il 15 agosto. In questa intervista concessa a ilsussidiario.net racconta le sue emozioni, parla della sua storia e delle sue motivazioni. La medicina e l’atletica sono i due grandi particolari della sua vita e in entrambe le situazioni ha un solo obiettivo realizzare se stesso, cioè vivere per fare esperienza. Il tema del sacro ritorna spesso nelle parole di Villani. Cresciuto con il mito del padre che, medico e podista come lui, gli ha insegnato a riportare tutto ciò che gli succedeva a uno scopo ultimo, a una verità ultima.
L’atletica rappresenta la disciplina principe delle Olimpiadi. Quali sono le sue sensazioni?
Mi sento bene, sono molto motivato non ho grosse aspettative se non quello di rendere per cui ho lavorato. Sarà difficile fare risultato perché sono “fuso” come dice Silvano (Danzi, il tecnico federale, ndr) e perché è mattina.
Arrivano le prime medaglie. Quali sono le emozioni che sta provando nella lunga attesa delle gare?
La mia partecipazione è arrivata all’ultimo momento. Ho fatto fatica ad introdurmi nella mentalità olimpica. Ho la fortuna di avere degli amici che mi seguono e un bel gruppo di compagni d’allenamento. Siamo ancora fuori dal Villaggio e per il momento ci accorgiamo poco di quello che sta succedendo. La vera “bomba” scoppierà quando entreremo nel Villaggio, ci vorrà un giorno per recuperare: sarà una bomba emotiva che mi lascerà senza fiato e mi potrà servire come adrenalina per la gara. Un giorno e mezzo prima della gara entreremo nel Villaggio, ma fino a quel momento resteremo tranquilli all’interno dell’Università. Sto vivendo nella massima tranquillità, sto facendo quello che devo fare, sto mangiando quello che devo mangiare. Non mi rendo ancora conto di essere alle Olimpiadi.
A cosa ha pensato quando in luglio ha strappato il pass olimpico?
Per 15 minuti ho vagato nel nulla. Quando il mio manager mi ha urlato che avevo fatto il minimo sono scoppiato a piangere. Ho cominciato a chiamare tutti i miei amici e il mio allenatore. Sono stato introdotto in un sogno che ho sempre sperato di vivere. Un anno fa ho parlato al Meeting anche del sogno delle Olimpiadi, ma non avrei mai pensato di riuscire ad esserci. Emotivamente cambia tutto.
Quanto può contare l’apporto della famiglia per uno sportivo?
Penso a una percentuale (forse troppo riduttiva) dell’80%. Da solo uno non va lontano, soprattutto nell’atletica leggera. Ho avuto la fortuna di avere pochi amici ma buoni e una famiglia che mi segue dappertutto. La corsa di per sé, come tante altre cose, se non è fatta per un obiettivo o uno scopo diventa inutile. Ringrazio anche Silvano, perché l’ho incontrato in maniera inaspettata e mi ha insegnato che la corsa fa l’uomo. Oggi per me correre significa ringraziare il Signore per la possibilità che mi ha dato. Quando non sfrutti un talento che il Signore ti dà ti senti incompleto.
Il desiderio di raggiungere il successo porta molti sportivi a percorrere consapevolmente strade illecite, sacrificando tutto per il successo immediato. Cosa direbbe a queste persone?
La medicina e l’atletica sono i due grossi particolari della mia vita. Sono consapevole che ci sarà sempre uno più forte di me a fare il medico o più bravo nella corsa. L’unica cosa che mi permette di fare queste cose al massimo è di sentirle mie e di vedere dove posso arrivare. Adesso come adesso una medaglia è impossibile, ma la scopo deve essere quello di realizzare se stessi.
Per lei cosa significa essere protagonista nello sport? Vincere? E chi sa che non può vincere paradossalmente non dovrebbe nemmeno partecipare?
Si può essere protagonisti sempre. Chi arriva prima o chi arriva ultimo può essere protagonista se vive con il desidero di ringraziare ciò per cui uno è stato fatto (non è facile capirlo, in questo caso per me sono la medicina e la corsa) e cerca di vivere con un obiettivo, con l’unico scopo di dare il massimo al di là del risultato che può arrivare. Questo può valere per un atleta alle Olimpiadi come per un atleta amatoriale. La realizzazione è una realizzazione di se stessi. So di poter vivere qualcosa che qualcun’altro non potrà vivere. Quando affronto una gara ringrazio di esserci, ringrazio per la possibilità di esprimermi a questi livelli. Lo scopo della mia vita è di fare esperienza, cioè di vivere le cose per cui sono stato fatto. Se non vivi per fare esperienza non potrai mai essere protagonista.
Ha conosciuto persone nella vita e nello sport che le hanno dato qualcosa di sé?
La figura centrale è sempre stata mio padre. Mi ha sempre riportato tutto ciò che succedeva a uno scopo ultimo, a una verità ultima. Mio padre è medico ed è un corridore come me. Lui è sempre stata la persona più vicina. Quest’anno ho avuto la fortuna di conoscere Silvano. Una volta nella sua macchina ho trovato «Tracce» e lì abbiamo scoperto di avere qualcosa in comune. Gli ho confidato che vivevo il cristianesimo attraverso il movimento. È iniziata una bella amicizia. Abbiamo incominciato a cercare di capire come dare significato all’atletica leggera, a ritrovare Cristo nell’atletica. Siamo riusciti a coinvolgere altre persone. Altri mi hanno comunicato l’esperienza attraverso l’allenamento: Baldini e Lambruschini (grande interprete del passato sui 3.000 siepi). Parlando con loro mi accorgevo dell’amore che provavano per questo sport. Ogni volta che parlavo con Lambruschini, vedevo i suoi occhi luccicare e mi sentivo sempre più spronato ad innamorarmi delle cose che facevo.