Da un punto di vista emotivo vivere le Olimpiadi è un sogno. E’ come essere dentro alle imprese che da bambino vedevi in televisione, condividendo con gli atleti aspettative, sogni, vittorie e delusioni. E l’Olimpiade non è fatta solo dei recordman e dei supercampioni. Non sono solo di Phelps e di Bolt, ma di uomini normalissimi che si impegnano, sudano e lavorano tutto l’anno per esserci. Questa è la storia dell’Olimpiade della mia squadra di mezzofondo, che non ha talenti particolari ma grandissimi atleti, gente normale che lavora duro da anni. Dal punto di vista tecnico è stato comunque un successo, le due finali raggiunte da Christian Obrist nei 1500 metri e da Elena Romagnolo nei 3000 siepi sono risultati strepitosi, che mai ci saremmo immaginati alla vigilia, sono stati per noi come due medaglie. Tutti hanno dato il massimo, insieme abbiamo vissuto dei momenti splendidi che porteremo con noi e da cui ripartiremo nel nostro lavoro dei prossimi mesi. Con questo entusiasmo coinvolgeremo anche chi è rimasto a casa.



Alle Olimpiadi ogni nazionale è attaccata alla propria bandiera, ma allo stesso momento si ha la sensazione di vivere un momento di amicizia globale. Lo sport è un linguaggio di tutti, un po’ come la musica, lo sport è trasversale. Lo spirito che ti porta a dare tutto in pista ti porta a condividere esperienze e momenti con persone che arrivano da tutto il mondo nei momenti di pausa. E’ un po’ come quando si incontra una persona su un sentiero di montagna: la si saluta, perché non è una sconosciuta, è qualcuno che condivide la tua stessa passione. Torno a ribadire che l’Olimpiade è fatta dalle persone normali, che si trovano unite a vivere un sogno. Non sono superstar, come nel caso dei nostri ragazzi, che tornati a casa si sono sorpresi delle reazioni della gente che li incontra per strada, li riconosce, li saluta.



Poi capita che il sogno venga interrotto bruscamente, come è accaduto a Martina Giovannetti, che ha saputo a Pechino della scomparsa improvvisa di sua mamma. Martina, 20enne, era la più giovane della spedizione, era una matricola, quindi la sua prima volta alle Olimpiadi coincideva con la prima volta in nazionale. Immaginatevi quanto potesse essere felice, a 20 anni, nello stesso momento, aveva coronato due sogni: partecipare alle Olimpiadi e vestire la maglia azzurra. Dal massimo della gioia in un momento è passato al massimo della tristezza. Questa situazione fa capire come la vita, al di là delle porte del sogno olimpico continua con la sue sue gioie, i suoi dolori e la sua durezza. Quello che portiamo a casa è una splendida esperienza che abbiamo vissuto insieme ai nostri ragazzi, che ha reso migliore il nostro rapporto e che porteremo con noi nel lavoro che inseme faremo nei prossimi anni.



 

(Silvano Danzi)