«Ho una malattia» disse un giorno in un suo concerto a Genova Fabrizio De Andrè. Silenzio e spavento tra le migliaia di persone, che in quel momento assistevano alle sue poesie cantate. Appoggiò la chitarra e mostrò una sciarpa del Grifone: «Questa è la mia malattia: si chiama Genoa». Un ricordo particolare, quello che legava De Andrè al Genoa. E oggi dalle pagine liguri del quotidiano Il Giornale viene raccontata come sbocciò la fede nei colori rossoblu, attraverso un suo diario segreto tenuto dal cantautore. Il padre Giuseppe lo portò a Marassi insieme al fratello Mauro, entrambi tifosi del Toro. Era proprio la partita Genoa-Torino e De Andrè annotò: «Mi ricordo che quasi subito, forse per una sorta di antagonismo precoce, mi scoprii genoano contro mio padre e mio fratello».



Il tifo per lui era una sorta di fede laica, «è il bisogno di schierarsi in un partito, simbolizzato magari da un colore ma che si pretende essere sostenuto da una tradizione o da una cultura diversa da quella degli altri: il tifo nasce da un bisogno forse infantile di identificarsi in un gruppo che ha come obiettivo la lotta per la vittoria contro altri gruppi». Il diario, esamitato da Maria Teresa Ruzza, fa emergere anche i sogni del tifoso De Andrè quando scrive infatti possibili nomi di acquisti per il suo Genoa. Una formazione la ipotizza così: «Braglia, Signorini libero, davanti a lui Torrente, Collovati e Pereira, poi il duo Ruotolo e Puxeddu, quindi Eranio e Ruben Paz, in avanti Aguilera e Fontolan». Un diario straordinario e toccante, sincero e umano di uno dei cantautori che hanno fatto la storia della canzone italiana. E che tifava Genoa.

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