«Portarlo a Brescia fu la mia prima grande trattativa come direttore sportivo. Un giocatore eccezionale, un uomo carismatico e dalla grande fede, la prosecuzione di Mazzola e Rivera come esempio di quel calcio romantico che oggi sembra non esserci più». Gianluca Nani, direttore sportivo del West Ham, non ha voluto far mancare i suoi auguri nel giorno del compleanno di Roberto Baggio. E in questa intervista, in esclusiva per ilsussidiario.net, racconta il Baggio uomo e il Baggio giocatore, durante gli ultimi suoi 4 anni di carriera a Brescia, dove Nani era direttore sportivo.
Roberto Baggio: 4 stagioni a Brescia, 95 presenze e 45 reti. Che ricordi ha?
E’ stato il primo giocatore che ho portato a Brescia, paradossalmente si trattava del calciatore italiano più forte di sempre, e uno dei primissimi al mondo, visto che la Fifa l’ha eletto il quarto giocatore del secolo, dopo Pelè, Maradona e Eusebio. Ma oltre che un immenso calciatore Roberto Baggio è anche una persona straordinaria. In campo la sua caratteristica principale era quella di fare le cose più difficili con grande naturalezza e semplicità. E questa è la vera forza del fuoriclasse. Era un simbolo per tutti noi: un faro, un punto di riferimento.
L’affare Baggio la lanciò e la fece conoscere nel palcoscenico del calcio italiano…
Io ho iniziato a fare questo lavoro con il presidente con maggiore esperienza (Corioni, ndr), l’allenatore con maggiore esperienza (Mazzone, ndr), e il giocatore con maggior esperienza. In pratica ho partecipato gratuitamente all’università del calcio. Corioni lo considero come un secondo padre, lo ringrazierò sempre per l’opportunità che mi diede: la prima trattativa che mi affidò fu proprio quella per portare a Brescia Roberto Baggio. Una trattativa delicatissima, perché riguardava un personaggio di grandissimo prestigio.
Come fu la trattativa?
E’ una fase della mia carriera che non dimenticherò mai: fui invitato nella casa in montagna di Vittorio Petrone, il manager di Baggio. Era un posto magico, si passava per una gola e da lì si apriva una valle splendida, incantata. La trattativa fu complicata, non tanto per le cifre in gioco, ma perché si stava parlando di un giocatore della portata e dell’importanza di Baggio. La sua firma poi arrivò in seguito. Eravamo a sera tarda, a casa del presidente, c’era una grandissima allegria per questo evento che poi infatti si rilevò fortunato, sicuramente per noi. Ma credo anche per Baggio, che passò 4 anni in cui giocò magnificamente.
E quando decise di ritirarsi?
Mi ricordo che durante l’ultimo anno cercavo di non perdermi nemmeno un suo allenamento: ogni volta che entrava in campo per me era un’emozione. Avevo questa sensazione: “sto vedendo giocare il giocatore più forte che c’è in circolazione con la mia maglia, quella del Brescia e tra 5 mesi non giocherà più”.
Giocò da campione fino alla fine…
Ricordo le ultime 2, 3 partite: giocò come il calciatore più forte al mondo, non come un giocatore a fine carriera. L’ultima in casa fu un Brescia-Lazio e lui fece un gol straordinario e un assist, cosa che normalmente un calciatore fa solo quando è nel pieno della forma. Ma la forza che dava al Brescia non era solo legata ai colpi di genio, ma al carisma con cui trascinava i compagni e la squadra. Lo stadio era sempre pieno. Considero un privilegio aver visto Baggio dal vivo e in allenamento per 4 anni.
Oggi è il suo compleanno…
Oltre agli auguri mi sento di potergli dire di tornare presto. Anche se stimare una persona significa anche rispettare le sue scelte. La sua è quella di dedicarsi alla famiglia e alle cose che non ha potuto fare durante la carriera.
Gli allenamenti, ci racconti un episodio in particolare…
Una volta fece un gol particolarmente bello, Mazzone si mise ad applaudire e allora anche tutti i compagni si fermarono per applaudirlo. Lui era un ragazzo molto schivo, queste situazioni lo imbarazzavano, non è certo un divo.
Qual’è il ricordo migliore?
Sono le emozioni che mi ha regalato, che non si possono descrivere con le parole, si possono solo vivere. E io ho avuto questa fortuna.
16 maggio 2004, Baggio chiude la carriera a San Siro con 70000 persone in piedi: era il giorno dello scudetto del Milan
Quella fu una giornata perfetta, tranne che per una cosa. Il Brescia era salvo e il Milan non aveva bisogno di punti, avrebbe festeggiato lo scudetto. E’ stata una festa incredibile per Roberto Baggio. L’unica imperfezione di quella giornata era che stava smettendo di giocare il calciatore Italiano più forte di sempre… C’era sì l’entusiasmo per la celebrazione del campione, ma anche la certezzza che un calciatore così non l’avremmo più rivisto per molto tempo
Cosa aveva in più Roberto Baggio?
Di giocatori forti ce n’erano e ce ne sono tantissimi, ma Baggio aveva la capacità di comunicare senza parlare, il suo carisma, la sua personalità, il suo modo di interpretare il calcio, queste erano le sue qualità.
Ci sono stati anche periodi meno belli, come la mancata convocazione di Trapattoni…
Quell’episodio non lo perdono a Trapattoni, anche se ovviamente rispetto e capisco le scelte di tutti gli allenatori, in particolare di Trapattoni che stimo molto. Ma Baggio in quel momento era un patrimonio di tutti gli italiani. Si giocava in Giappone, c’era la possibilità di convocare il 23esimo calciatore: portare Baggio in quel momento avrebbe voluto dire portare un valore aggiunto, sia dal punto di vista umano che tecnico. Anche se probabilmente non sarebbe stato al massimo della forma…
Ha patito anche diversi infortuni…
Ha dovuto subire 7 operazioni alle ginocchia, ma la sua grande fede, la sua voglia, lo hanno spinto ad andare avanti per tanto tempo. Poi ha avuto la fortuna di trovare un allenatore come Mazzone, che l’ha saputo capire. Ha smesso solo quando non ce la faceva più. Quando ha iniziato a pesargli quello che per lui era un divertimento.
Si può dire che Baggio rappresenta un calcio che non c’è più?
Lui mi ricordava il calcio che si giocava in parrocchia, da bambini, con le cartelle a fare da pali e il campo in salita. Un calcio fatto di gioia, tecnica e poesia. Era diverso da quello che allora spopolava: il pressing, la tattica, il fuorigioco, le sovrapposizioni… Roberto Baggio era quello che aveva il numero 10 sulle spalle, con tutto quello che significava. Ora questa figura non c’è più: gli ultimi sono stati lui e Maradona. Negli ultimi anni i giocatori determinanti sono stati quelli come Ronaldo, o Ibrahimovic, che uniscono grandi doti atletiche a quelle tecniche. Lui invece rappresentava l’evoluzione di Mazzola e Rivera, un calcio più romantico che fisico.