Un’opzione Cai per il Milan. E una certezza: la società di via Turati è in vendita e la notizia che lo sceicco Mansour, già proprietario del Manchester City (ricordate il tormentone Kakà di inizio anno?) e socio al 7 per cento di Mediaset, sarebbe stato pronto a sborsare 500 milioni di euro per i club rossonero era una bufala orchestrata ad arte per sondare gli umori della piazza. Ovvero, capire se il tifoso milanista medio (che è anche e forse soprattutto elettore, telespettatore e consumatore) sia pronto o meno all’addio del patron storico: test passato a pieni voti, chi tifa il Diavolo vuole tornare a vincere, a prescindere da chi ne stia a timone. Vuole un proprietario che garantisca passione, attenzione e investimenti, tre prerogative che il Silvio Berlusconi politico non può più garantire. Inspiegabile, altrimenti, il silenzio intercorso tra la pubblicazione dello “scoop” sul presunto raid britannico e la smentita della società e soprattutto il silenzio tombale al riguardo da parte dei media inglesi, solitamente maestri dell’invenzione e nell’ingigantire le notizie, vere o presunte tali. L’operazione, quindi, può avere inizio ed entrare nella fase operativa: tanto più che la famiglia Berlusconi non intende più svenarsi per ripianare i bilanci della società e dar vita a campagne acquisti competitive e che un Milan come quello attuale non garantisce un feedback commerciale e d’immagine come marchio, con buona pace di David Beckham.
Ma vediamo in che termini dovrebbero svilupparsi la trattative per la cessione – prevista entro il 2010 – che permetterebbe a Silvio Berlusconi di abbandonare l’onerosa proprietà del club rossonero, concentrando se stesso sulla politica senza condizionamenti e soprattutto la holding di famiglia nel vero core business del futuro: ovvero, la guerra del satellite e del digitale e l’assalto di Murdoch al duopolio Rai-Mediaset. Sarebbe quindi questa (ovvero l’opzione cordata con un imprenditore core a capo e altri con quote di minoranza, tra cui a stessa Mediaset e Banca Mediolanum come sorta di lascito affettivo) , stando a fonti finanziarie e altre vicine alle società del presidente del Consiglio, la carta che verrà giocata per scaricare quel “giocattolo costoso” – stando al giudizio che del club avrebbe dato Marina Berlusconi, numero uno di Mediaset e da sempre favorevole alla vendita – garantendo però che la proprietà resti italiana e il club di via Turati non divenga la prima vittima illustre del cannibalismo calcistico-finanziario di sceicchi e fondi sovrani.
L’unico nome che filtra come apertamente interessato all’operazione, da concretizzarsi entro massimo due anni, sarebbe quello di Michele Ferrero, patron della multinazionale dolciaria nonché uomo più ricco d’Italia (68mo al mondo) in base alla classifica di Forbes 2008: il suo destino, stando ai beni informati, sarebbe quello del Colaninno della situazione. E questa decisione maturata in casa Berlusconi spiegherebbe perfettamente il tira e molla del caso Kakà, prima ritenuto cedibile e poi bloccato a furor di popolo: semplice la spiegazione, per attirare soci potenziali occorre mettere in vendita un Milan concorrenziale e senza l’asso brasiliano l’unico, vero campione sarebbe rimasto Pato. Il quale, se Kakà fosse stato venduto, a giugno sarebbe diventato l’oggetto del desiderio di molti club pronti a fare spesa nel supermarket Milan. Gli altri giocatori, pur buoni, hanno un mercato e un appeal limitato sia per l’età ormai avanzata sia per le mire sempre più alte dei grandi club: andava preservata la spendibilità del prodotto Milan, altro che cuore, tifosi e valori.
In senso contrario la vulgata complottista, non a caso sobillata dal telegiornale di Sky alla vigilia del giorno della verità riguardo la cessione di Kakà, basava le proprie certezze riguardo la vendita sul fatto che il 2 per cento di Mediaset appartiene, da anni, al fondo sovrano di Abu Dhabi, originariamente nelle mani del padre dello sceicco Mansour e ora in quelle del fratello. Inoltre il proprietario del Manchester City è intervenuto pochi mesi fa per salvare una delle più importanti banche inglesi, la Barclays, di cui ora possiede il 16,5 per cento delle azioni. E, guarda caso, la Barclays è – dopo la famiglia Berlusconi – il più forte azionista di Mediaset con il 5 per cento. Quindi, a conti fatti, Sky spiegava ai telespettatori che lo sceicco Mansour controlla, direttamente o indirettamente, il 7 per cento di Mediaset, che a sua volta controlla il Milan. Impossibile, quindi, uno sgarbo simile da parte del premier. Peccato che, piaccia o meno l’uomo, Silvio Berlusconi non sia imprenditore venuto giù con la piena, come si dice a Milano: sa benissimo che Barclays, da settimane in altalena alla Borsa di Londra, verrà nazionalizzata – almeno parzialmente – per evitare il default, schiacciata com’è da un’esposizione con leva di leverage pari solo a quella di Deutsche Bank, altro grande malato d’Europa. E quando lo Stato entra nella cabina di regia è ovvio che le prime operazioni di cui si rende responsabile sono l’eliminazioni di asset pericolosi, non particolarmente fruttuosi o comunque non core. Occorre quindi concentrarsi nella lotta che Murdoch ha deciso di scatenare, arruolando grandi nomi, adottando una strategia molto aggressiva e ponendosi in condizione di essere un player capace di muovere interessi a tutti i livelli: insomma, i nemici di Berlusconi sono tanti e Sky non è più la tv che ti fa vedere solo i film e le partite. L’informazione è diventata centrale e informazione significa potere. L’operazione di cessione, quindi, avrebbe visto Silvio Berlusconi stretto in un angolo da Marina e Pier Silvio, da sempre molto tiepidi verso il gioiellino di famiglia, soprattutto ora che occorre passare alla controffensiva e che il brand Milan, causa mancanza di vittorie e assenza dalla Champions quest’anno, appare un po’ appannato e non più trainante per tutto il gruppo che vi sta dietro. Fantacalcio? Al premier l’ardua smentita.