A tu per tu con Mario Beretta, ex tecnico del Lecce da poche giornate, che racconta, in esclusiva per il sussidiario.net il suo passato, la gavetta per diventare allenatore, l’esperienza in Serie A e un pronostico sul campionato.

Lei è un allenatore che ha fatto tanta esperienza anche nelle serie minori. Cosa si porta dentro oggi del periodo a Milano quando, insegnante di educazione fisica, si dedicava al settore giovanile del Centro Schuster?



E’ stato un periodo molto importante, ero molto giovane, ed ho cominciato a gestire dei gruppi, anche se erano di bambini. Ho dovuto insegnare le cose basilari, l’aspetto motorio, i primi passi, anche perché essendo una realtà dilettantistica, i calciatori non si sceglievano, ma organizzavi il lavoro con quello che avevi.



Lei è considerato un “buono”, qualità che non sempre nel calcio moderno viene premiata…

Dipende da cosa si intende per “buono”. Io ritengo che nel calcio ci sia uno sbaglio, perché se una persona è educata e parla bene, usa le buone maniere ed ha un po’ di cultura, si pensa sia “buono”. Io credo di essere normale, prendo le decisioni che secondo me sono le migliori. Chi invece ha caratteristiche diverse viene definito un “sergente di ferro”.

Certamente ha un carattere diverso da quello di Mourinho. L’atteggiamento del tecnico portoghese non piace a molti. Ha archiviato la polemica di quest’anno, quando lo chiamò “Barnetta”?



Sì, sì, la polemica è stata archiviata quando ci siamo rivisti e ci abbiamo riso sopra. Tra l’altro, ho ricevuto un messaggio alcuni giorni dopo il mio esonero da parte di Mourinho, tramite l’ufficio stampa dell’Inter. Mi ha fatto molto piacere.

Chi sono i maestri di Mario Beretta?

Io parto dal presupposto che si può apprendere da tutti, da Lippi, da Ancelotti, da Mourinho, ma anche da tecnici del passato, come Scala e Zeman. Ma si può apprendere anche dagli allenatore che lavorano nei dilettanti, perché io penso che nel mondo del calcio, dalle giovanili fino alla Serie A, qualcuno può darti sempre qualche spunto per migliorare.

Qual è il rapporto che instaura con i suoi giocatori?

Io penso di aver avuto sempre un buon rapporto con tutti, magari con qualcuno di più, ma credo nel rispetto della persona e dei ruoli. Io sono uno che dice sempre quello che pensa e che fa quello che dice, con tutti, indipendentemente dall’età o da quanto prende un giocatore.

Cosa non ha funzionato a Lecce?

Una squadra che con le grandi ha fatto vedere di avere un gioco, mentre paradossalmente ha faticato di più con le dirette concorrenti Il Lecce è una neopromossa, ha fatto e sta facendo il campionato che ci si aspettava. Una stagione di grande sofferenza per raggiungere la salvezza: è un cammino lungo e difficile, magari una settimana sei fuori dalla zona retrocessione, mentre quella successiva ti ritrovi dentro. Ci aspettavamo di centrare la salvezza anche all’ultimo minuto, come mi è successo a Siena.

Ha dei rimpianti circa la sua avventura sulla panchina giallorossa?

Cosa nonha funzionato? Non ho rimpianti, ho dato tutto, stavamo facendo un buon lavoro, seppur con qualche errore. Abbiamo puntato sui giovani, facendo debuttare in serie A parecchi ragazzi, come Esposito, Schiavi, ed anche altri giocatori che erano più avanti con l’età, ma che di fatto erano alle prime armi nella massima serie, come Vives, Munari, e questo è anche un merito dell’allenatore.

A Parma nel 2005-2006 la stagione, forse, migliore, nella quale dopo una partenza negativa si è ripreso per centrare la salvezza (che poi dopo le sentenze di calciopoli diventò Coppa Uefa). A Parma, rispetto a Lecce, si può fare calcio in tranquillità?

No, non penso questo, è solo che ogni società ha un modo di lavorare diverso dalle altre, di concepire il calcio. Capita che una società prenda una decisione del genere e bisogna accettarla, è successo anche in altre società che tecnici che avevano fatto bene sono stati mandati via…

A Siena due annate positive con due salvezze (nella seconda stagione, prima è stato esonerato e poi è stato richiamato..). Cosa ricorda dell’avventura con i Toscani?

Il primo anno conquistammo la salvezza, ma la società non ci confermò il contratto e scelsero Mandorlini. Quando sono stato richiamato (a novembre) la squadra era all’ultimo posto, la prima partita l’abbiamo persa, rimanendo ultimi in classifica, ma alla fine abbiamo conquistato la salvezza anche grazie al feeling con i giocatori, che già conoscevano i miei metodi dall’anno precedente. Una salvezza che è sembrata facile, con due giornate di anticipo, conquistando i tre punti fondamentali contro la Juventus, ma il lavoro è stato duro.

Non si è mai pentito di aver accettato un incarico senza poter contare su una squadra all’altezza? In questi casi cosa succede? Può esserci un po’ di presunzione da parte dell’allenatore?

Non penso di essere stato presuntuoso, e non so se lo sono gli altri tecnici, io sapevo a cosa andavo incontro, avevamo cercato dei giocatori che secondo noi potevano darci una grossa mano, ma per le piccole società, come il Lecce, il mercato è difficile e non sempre si riescono a prendere certi calciatori, soprattutto per un discorso economico. Comunque io sono fermamente convinto che, pur tra mille difficoltà, saremmo riusciti a salvarci, anche all’ultimo minuto del campionato.

Quanto conta in percentuale, nell’economia di una squadra, l’allenatore?

In percentuale non saprei dire, bisogna comunque distinguere: il tecnico di una società medio-piccola, dove i calciatori magari sono alle prime esperienze, deve focalizzarsi di più sul lavoro sul campo, mentre il tecnico di una grande squadra piena di campioni deve gestire meglio lo spogliatoio, dosare le energie per i turni di Coppa… Diciamo che anche un grande tecnico deve avere a disposizione una buona squadra, altrimenti non va da nessuna parte.

Il giocatore più forte che ha allenato e quello che invece aveva delle grandi potenzialità ma sono rimaste inespresse.

Io ho avuto la fortuna di allenare gente dalle grandi qualità tecniche come Jimenez, Locatelli, Morfeo. Proprio Domenico (Morfeo) ha giocato nell’Inter, Milan, Parma, ma avrebbe potuto incidere di più, perché era un giocatore talentuoso, uno dei pochi in Italia.

Un pronostico per scudetto, zona Champions e zona retrocessione.

Per lo scudetto dico Inter, mentre per la zona Champions, a parte Juventus e Milan, il resto se la giocano quelle tre (Genoa, Fiorentina e Roma). Per la salvezza il discorso è aperto anche per Chievo e Siena, perché in una settimana puoi salire o viceversa, anche se i punti di vantaggio che hanno rispetto alle ultime quattro possano incidere alla lunga.

Dove allenerà il prossimo anno Beretta? Ha mai preso in considerazione l’idea di provare un’avventura all’estero?

Sì, se mi proponessero di allenare in un campionato dove si può lavorare, tipo Inghilterra, Spagna, Germania, Francia, Grecia, Scozia, prenderei sicuramente in considerazione l’offerta, perché mi piacerebbe fare questa esperienza. Tra l’altro, partirò presto per l’Inghilterra e per una settimana assisterò ai metodi di allenamenti del West Ham (allenato da Zola).

Claudio Ruggieri