Momenti di pura follia, a pochi minuti dall’inizio di un match dall’impensabile conclusione. Lo stadio di Marassi, dove si doveva giocare Italia-Serbia valida per la qualificazione ad Euro 2012, si è presto trasformata in un campo di battaglia per alcune centinaia di tifosi serbi che hanno ripetutamente cercato lo scontro: prima fuori dallo stadio (cortei, vetrine rotte e petardi contro polizia e passanti), poi nel settore ospiti lanciando bombe e fumogeni, rompendo le reti di protezione e danneggiando le vetrate di sicurezza. Il tutto corredato dal classico saluto a tre dita, simbolo del nazionalismo serbo diventato famoso durante la guerra in Bosnia. Un gesto sfoderato poco dopo da Stankovic e compagni per cercare di calmare inutilmente i propri tifosi.
Il risultato? Partita ritardata di 37 minuti e poi sospesa dopo appena 6 minuti di gioco, nonostante i tentennamenti dei dirigenti vari che, in attesa di capire il da farsi, hanno lasciato in bilico un match morto in partenza, con il delegato Uefa che sembrava ostinatamente determinato a far giocare una gara che ormai non aveva alcun significato sportivo. Nel settore ospiti del “Luigi Ferraris” erano quasi 2000 i sostenitori serbi, tra questi alcune centinaia di facinorosi (si parla di 300 unità) che hanno animato la serata anche dal punto di vista visivo. Numerosi striscioni, tra cui un emblematico “Vaffanculo” e alcune pezze inneggianti al Kosovo. Tra i sostenitori accorsi vi era infatti un nutrito gruppo di ultranazionalisti violenti che hanno provato a portare la lotta politica e etnica sugli spalti dell’impianto genovese, imponendo uno stato di tensione che ha rischiato di minare l’incolumità degli altri tifosi, delle squadre in campo e della polizia presente.
La domanda, che sorge spontanea dopo lo stupore di una serata da dimenticare, è come questi facinorosi, dal passato tutt’altro che immacolato, siano riusciti a varcare le soglie dello stadio di Genova. "Eravamo consapevoli che fosse una partita a rischio – ammette Roberto Massucci, responsabile per il Viminale della sicurezza della nazionale di calcio -, ma un comportamento di questa aggressività era da tempo che non si verificava. Una tifoseria così non doveva arrivare qua. Andavano fermati dalla legislazione serba. E qui non c’era nessuno della polizia serba. Sebbene non avessimo informazioni che qualificassero i tifosi serbi così ad alto rischio come abbiamo poi visto, tenendo conto di precedenti relativi alla Serbia, il piano operativo era comunque calibrato ad una partita ad alto rischio". Il filtraggio dello stadio si è però dimostrato inadeguato visto che i serbi hanno potuto prender posto nel proprio settore ospiti con petardi, razzi, coltelli e tronchesi. In barba a controlli e perquisizioni che regolarmente bloccano le più innocue bottigliette d’acqua dei tifosi normali.
Eppure il curriculum degli ultrà serbi parla chiaro: in casa come all’estero, il tifo organizzato della Repubblica ex Jugoslava ha dato eccellenti dimostrazioni di violenza. Parliamo di gruppi provenienti da formazioni del tifo organizzato di Stella Rossa e Partizan, le due squadre di Belgrado. Costoro, unitamente ad altre bande minori, seguono con assiduità la propria nazionale e, negli ultimi anni, si sono resi protagonisti di numerosi incidenti. Nel solo 2009 spiccano due tifosi morti ed uno ferito da un colpo di pistola sparato all’interno di uno stadio. Una violenza che spesso oltrepassa i confini degli impianti calcistici per abbracciare l’estremismo politico. Un esempio? Domenica scorsa, il corteo del Gay Pride di Belgrado è stato aggredito da gruppi estremisti di destra armati di mattoni, molotov e fumogeni. La marcia degli omosessuali, a cui hanno partecipato circa 500 persone è durata solo 15 minuti, è stata scortata da 5-6 mila agenti e, nonostante ciò, ha fatto registrare oltre cento feriti. A questo punto il tre a zero a tavolino sembra un eufemismo.
(Marco Fattorini)