Dopo la notte di follia andata in scena a Marassi, nella mente di tifosi e addetti ai lavori restano le immagini, da Ivan “il terribile” ai disordini sugli spalti. Oltre a circa 1600 tifosi, il settore ospiti del “Luigi Ferraris” ha accolto anche bengala, coltelli, petardi, spranghe, cesoie e bombe carta. Un arsenale degno della miglior guerriglia urbana che gli ultras-nazionalisti serbi hanno utilizzato per vincere la loro lotta politico-sovversiva contro una tranquilla serata di calcio. Oggi però ci si chiede come sia stato possibile che un plotone così violento e pericoloso (dai trascorsi altrettanto bellicosi) abbia agito indisturbato riuscendo a eludere un apparato di sicurezza trans-nazionale costituito, nella fattispecie, da servizi di polizia serbi e italiani. Che evidentemente avrebbero potuto dialogare sull’opportunità di una selezione nella vendita dei biglietti.
Quei 500 rivoltosi, alcuni dei quali hanno macchiato di sangue il recente Gay Pride di Belgrado, erano stato annunciati alle autorità italiane attraverso un fax inviato lunedì dalla polizia serba. Il documento, stando a quanto riportato dal ministro Maroni, “non conteneva nessun allarme sull’arrivo di ultrà violenti” connotandosi come una “comunicazione burocratica di routine”. Fatto sta che al Ferraris sono entrati gruppi organizzati, ultranazionalisti di destra e cani sciolti. Una presenza variegata ma egualmente violenta, con un potenziale offensivo ben noto in giro per l’Europa. “Abbiamo registrato smagliature nel sistema informativo con Belgrado e nessun tipo di allarme ci è stato comunicato”, ha ammesso Roberto Massucci, portavoce dell’osservatorio sulle manifestazioni sportive. “Non c’è stato nessun poliziotto inviato a seguito dei tifosi”, gli fa eco il direttore generale della Figc Antonello Valentini.
Smagliature o meno, qualcosa non è funzionato e il "cosa" è chiaro a tutti. Il problema del "non dovevano arrivare a Genova" è il punto di una questione certamente complessa, ma non indecifrabile. L’impressione, guardando le immagini, seguendo gli sviluppi della serata e le sue degenerazioni, è che non si avesse presente la potenzialità offensiva dei gruppi serbi, poi definiti "criminali" dalle stesse autorità italiane. Individui come "Ivan il terribile" leader di prime pagine col passamontagna in testa, hanno fatto il bello e il cattivo tempo, prima a zonzo per la città, poi nella gabbia (tagliata dalle cesoie) di Marassi. Il tutto perché nessuno li ha bloccati alla partenza (dal 2009 non c’è più bisogno del visto per uscire dalla Serbia), nè all’arrivo, nè tantomeno allo stadio.
Si parla di un apparato di sicurezza evidentemente mal organizzato in partenza, al quale è mancato un essenziale raccordo sull’asse Roma-Belgrado. Dove forse qualche parolina in più dai Balcani avrebbe perlomeno mitigato le conseguenze. A maggior ragione se, come emerge con maggiore insistenza nelle ultime ore, gli scontri di Genova sarebbero premeditati e avrebbero una regia direttamente in Serbia. In più, tale carenza di informazioni con annesse contromisure (servivano più uomini e mezzi) ha rivelato l’inadeguatezza di un dispositivo incapace di effettuare il regolare filtraggio all’ingresso dello stadio. Pratica a volte asfissiante per i tifosi onesti, rivelatasi del tutto inesistente per i chiassosi ospiti serbi che, in virtù delle gravi contingenze del momento, hanno avuto libero accesso agli spalti del Ferraris. Con conseguente dispiegamento dei propri mezzi di offesa.
Ciò non toglie che l’atteggiamento delle forze dell’ordine, improntato al mantenimento dello status quo, sia stato di saggezza e professionalità, tale da evitare "una possibile tragedia", come ribadito anche dal Viminale. E’ sotto gli occhi di tutti l’abnegazione delle decine di agenti che hanno fatto il possibile per controllare la situazione, moderare gli animi dei serbi e assicurarne un regolare deflusso al termine della partita mai iniziata. Un lavoro paziente e certosino protrattosi fino alle prime ore del mattino quando alle 2.40 è stato scovato il capo ultrà Ivan Bogdanov, nascosto nella pancia di un pullman. Inoltre 138 tifosi sono stati identificati e controllati per vagliarne la situazione, il tutto scongiurando altri disordini dopo il surriscaldamento delle ore precedenti.
Poteva andare peggio, questo è sicuro. Ma la realtà è che una serata di calcio ufficiale doveva andare in un altro modo, evidentemente incardinata entro i ranghi dello sport e della civiltà. Anche perché, se nel corso del campionato si vietano trasferte considerate rischiose e si adottano provvedimenti restrittivi motivati da esigenze di pubblica sicurezza, a maggior ragione in occasione di Italia-Serbia qualcuno avrebbe dovuto valutare con più serietà quella che, per centinaia di ultras serbi, è stata una vera gita di piacere tra violenza e razzie.
(Marco Fattorini)