ROTTURA CASSANO GARRONE – E’ durata 1169 giorni l’avventura tra Antonio Cassano e la Sampdoria. I mille erano caduti il 13 maggio, tra il pari di Palermo e la vittoria sul Napoli che significava quarto posto. Sembravano tempi di gloria; era invece l’inizio della fine, per il progressivo divergere delle ambizioni di un giocatore ritrovato, euforico per la riconquista della Nazionale, dai piani di una società attenta a coniugare gli equilibri economici con il risultato tecnico, sempre privilegiando i primi al secondo. L’uscita dalla Champions, per giunta traumatica nei modi, ha incrinato la serenità di un giocatore tra i più dotati nella tecnica, ma di estrema fragilità nel sentire.



Arrivato a Genova, aveva spiazzato tutti: «Ho bisogno di amore». Lo aveva trovato, quello della Gradinata Sud come di Carolina Marcialis, la giovane campionessa di pallanuoto sposata a giugno e che nella prossima primavera lo renderà padre. Ma la pace familiare non poteva bastare a un calciatore che finora ha vinto poco, per non dire nulla; per quanto seguito da un destino nero che gli preclude, nella finale di Coppa Italia giocata da doriano il 13 maggio 2009, quanto invece riuscito a Delvecchio e Sammarco: ovvero segnare il rigore nella serie decisiva.



Garrone, che lo aveva adottato come un nipote offrendosi di fare da testimone alle nozze e da padrino al battesimo dell’erede, gliene aveva perdonate non poche: dalla sfuriata verso Pierpaoli (5 turni di squalifica) al crescendo di dissidi con Del Neri, culminati lo scorso anno nei due mesi di esclusione. Ma stavolta la rabbiosa reazione sopra le righe, davanti ad altri giocatori, di fronte a una richiesta civile come quella di presenziare a una festa di club dove Cassano era atteso ospite d’onore, ha segnato una frattura definitiva: o sarà rescissione, su verdetto del Collegio Arbitrale, o sarà cessione a gennaio.



 

Fine di una storia che comunque è valsa la pena vivere, leggere, scrivere; e che desta identica malinconia dello smontaggio del tendone di un circo, oppure dell’alba cupa dopo la festa di Carnevale dei “Vitelloni”, quando tutta la tristezza del mondo sta in un’auto nera in fuga. Vale per Garrone – come a suo tempo per i presidenti di Roma e Real e adesso, chissà, di Inter o Fiorentina o Juventus – quel che, in uno splendido film di Carlos Sorin, viene detto dai compagni all’allevatore Juan, mesto perché appena morso dal suo cagnone Bombòn: «Chi ha un dogo e non ha cicatrici, non ha un dogo».