ESCLUSIVA NAZIONALE CON CESARE PRANDELLI – Sono passati poco più di 5 mesi da quel 30 maggio 2010 quando Cesare Prandelli venne annunciato come il nuovo commissario tecnico della Nazionale. Giancarlo Abete gli diede un compito non facile: ricostruire la Nazionale dalle macerie del Mondiale. Prandelli parla, in questa intervista esclusiva concessa a ilsussidiario.net, dell’Italia del futuro, del lavoro di selezione e dell’importanza di investire sui giovani e sugli italiani. Prendendo come esempio la Juventus di Delneri e Marotta.
La storia calcistica dell’Italia è sempre stata contrassegnata da grandi numeri 10. Pensa che sia ancora così?
Il talento è una dote naturale, ma se non si fa nulla o si fa poco per valorizzarlo rimane una potenzialità inespressa. Negli ultimi anni in Italia si è puntato poco sulla valorizzazione del talento e sul perfezionamento della tecnica individuale. Si è preferito piuttosto prendere in considerazione altri parametri come la struttura fisica e l’aspetto tattico. I successi recenti di Spagna, Germania e Svizzera ci ricordano proprio che un calcio efficace è soprattutto espressione di talento rafforzato da un’ottima base tecnica. Quando il giocatore ha la sicurezza del gesto tecnico sviluppa naturalmente preazione e capacità di osare
Ci sono sempre stati dei calciatori che in Azzurro erano dei leader (Cannavaro, Baggio…). Lei pensa ancora di puntare ancora su uomini simbolo o è meglio investire su un gruppo compatto senza leader?
Ogni nazionale e club, in qualsiasi sport di squadra, ha avuto, ha e avrà sempre uno o più leader al proprio interno. Il successo di un gruppo, la sua compattezza, risiede anche nel riconoscimento spontaneo di una leadership quale vero e proprio punto di riferimento dentro e fuori dal campo. Guai a non averne ….
Lei ha lanciato nell’arco della sua carriera molti giovani (Montolivo, Mutu, Gilardino, Adriano) puntando sempre su di loro. Può essere questa la vera rivoluzione per la Nazionale italiana? E se sì, possono dirsi chiuse le porte per giocatori come Totti?
Più che di rivoluzione parlerei di una necessaria ricostruzione dopo la naturale conclusione di un ciclo magnifico caratterizzato dalla presenza di tanti campioni che ci hanno consentito di vincere la quarta Coppa del mondo. Abbiamo iniziato da pochi mesi un lavoro importante con l’obiettivo di dare a questa squadra un’identità forte sotto il profilo tecnico, una fisionomia che esprima un calcio di qualità attraverso la valorizzazione dei talenti di cui disponiamo. Ci siamo dati delle scadenze nel medio e lungo periodo e la qualificazione all’Europeo 2012 rappresenta una prima verifica. Sulla questione del ritorno di Totti in Azzurro, è stata strumentalizzata ad arte un’affermazione pronunciata con grande schiettezza da Antonio Cassano. Tutto qui.
Cosa ne pensa della Juventus che ha investito tanto sui giovani e gli italiani? Può essere questo un modello da seguire anche per altre società italiane?
Tutto quanto viene fatto dai nostri club per valorizzare il calcio italiano è positivo: se ai giovani calciatori italiani vengono offerte le giuste opportunità per poter acquisire esperienza e caratura internazionale, le squadre nazionali non possono che trarne beneficio.
In Italia sta avvenendo un piccola quanto significativa rivoluzione nel mondo del calcio con il progetto di Albertini e Sacchi per i settori giovanili. Cosa ne pensa? È d’accordo per cancellare il campionato Primavera?
La recente flessione di risultati delle selezioni giovanili ha indotto la Federcalcio ad interrogarsi sulle cause di questo fenomeno per individuare delle soluzioni efficaci. Con la nomina di Sacchi, Baggio e Rivera la FIGC ha mosso un primo passo importante e sostanziale per compiere una revisione generale del nostro sistema di formazione, tra cui la struttura dei campionati giovanili ai quali potrebbero essere apportati dei correttivi.
Il modello di sviluppo tedesco o spagnolo può essere esportato anche in Italia?
Ciascuna nazione dispone di proprie specificità e relative competenze che possono risultare più o meno efficaci nello svolgimento di un determinato progetto in un determinato contesto, ma che magari su base universale possono avere una valenza relativa. Non si tratta di importare tout court modelli sviluppati altrove e applicarli pedissequamente sulla nostra realtà sportiva, ma di avere capacità di analisi ed elaborazione utili a determinare interventi efficaci sotto il profilo metodologico e sostanziale. La cultura sportiva da questo punto di vista è un elemento fondamentale e il calcio italiano poggia su fondamenta molto solide.
Lei sta lavorando molto per individuare gli esterni di difesa (provati Antonelli, Cassani, De Silvestri). È questa une della sue preoccupazioni maggiori?
E’ un reparto nel quale, allo stato attuale e salvo poche eccezioni, il campionato italiano non offre un numero di alternative sufficienti a soddisfare gli standard richiesti dal livello internazionale. È anche per questo motivo che, a causa di partite concomitanti della U21 e infortuni, nell’ultimo raduno ho deciso puntare sull’esperienza e l’affidabilità di un campione come Gianluca Zambrotta, tornato ad esprimersi su livelli di eccellenza.
La sua Nazionale sarà forse la prima a non contare su un centravanti classico, ma piuttosto su punte di movimento. Lo conferma?
Non sono d’accordo. Borriello e Gilardino sono uomini d’area, seppur ciascuno con caratteristiche differenti. Il mio obiettivo è disporre del maggior numero di opzioni tattiche attraverso una sana concorrenza sui ruoli. Sotto questo aspetto abbiamo una rosa di ragazzi molto interessante.
Il centrocampo sembra essere la zona di cui lei è maggiormente tranquillo. È vero?
E’ il reparto che in questo momento offre più opportunità di scelta, ma anche qui stiamo lavorando per capire se e in che modo possiamo sostenere determinati assetti tattici in proiezione offensiva.
Nell’ultimo raduno a Madrid con gli altri Ct è emerso qualcosa di interessante, soprattutto sulle nuove tecnologie…
E’ stato un momento di confronto interessante e di questo dobbiamo dare merito alla UEFA. La tecnologia è uno strumento che potrebbe contribuire a dirimere situazioni difficili da valutare nell’ambito di una partita, soprattutto relativamente alla marcatura o meno dei gol. Ne stanno discutendo in sede di International Football Board e vedremo se dalle proposte formulate, tra le quali quella realizzata da FIGC e CNR, scaturiranno delle novità sotto il profilo regolamentare.
Questione arbitri. Lei da allenatore ha sempre avuto un atteggiamento “da signore”, anche quando ha subito torti pazzeschi. Crede sia un momento-no o c’è una crisi generazionale?
Non esiste una questione arbitri, le polemiche non mi appartengono. Io parto da un presupposto molto semplice: l’arbitro può commettere un errore esattamente come il calciatore o l’allenatore ed è una realtà che troppe persone faticano ad accettare. Tanto più il rapporto arbitri- calciatori-allenatori sarà improntato al rispetto e alla collaborazione, tanto maggiore sarà la qualità dell’arbitraggio e della partita. Ne trarremo beneficio tutti: calciatori e pubblico.
(Franco Vittadini)