Riceviamo e ringraziamo Alessandro Salvatico, giornalista della testata www.toronews.net, per l’analisi che ci ha fornito sulla situazione in casa granata.

L’intervista rilasciata da Urbano Cairo al “granata da legare” Massimo Gramellini ha scosso Torino e suscitato reazioni e discussioni in tutto l’ambiente del calcio: “Metto in vendita il club”, l’annuncio dell’editore alessandrino. Parrebbe dunque assurdo, a fronte delle tante parole che si stanno spendendo per commentare questa inaspettata uscita, dire che, in realtà, non è cambiato nulla; ma è quel che proveremo a dimostrare. Cairo è puntato dall’indice accusatore di una parte della tifoseria ormai da tempo, e numerose accuse gli sono state mosse. Ad esempio, il fatto di aver atteso anni prima di dotare la società di un organigramma completo, operazione non ancora completata neppure ora; e in effetti, per lungo tempo il Torino FC ha potuto vantare un ds spesso vittima delle ingerenze del patron, e stop, nessun’altra figura dirigenziale.



L’assenza -su tutte- di un team manager ha portato una squadra lasciata a se stessa da una proprietà lontana (a Milano) ad autogestirsi, con risultati deleteri ed allenatori esautorati uno dietro l’altro. La tifoseria organizzata, per mezzo di comunicati e dichiarazioni a mezzo stampa, ha fatto sapere a più riprese di non poterne più degli errori inanellati da Cairo, che ha cambiato in media un direttore sportivo e due allenatori all’anno, alla faccia di una programmazione tanto sbandierata quanto periodicamente azzerata. La smania di protagonismo ha spesso condotto il presidente a parlare tanto, sempre, troppo, promettendo molto e mantenendo poco, per il peccato originale di non affidare le chiavi del proprio club ad uno staff di collaboratori fidati.



Eppure –lo stesso ds Petrachi lo ricordava proprio ieri- il calcio è un affare diverso da ogni altre realtà imprenditoriale, e anche chi nel proprio ambito ha avuto successo non può pensare di inoltrarvisi senza una guida esperta. Cairo ci ha provato, e nonostante gli errori ha spesso perserverato. Fino a pagarne le conseguenze, facendole però pagare anche a tutta la tifoseria. E così, dalla folla che riempiva la piazza del Municipio di Torino sotto la luna dell’Agosto 2005, in attesa di poter acclamare al balcone il suo Papa Urbano, si è passati allo striscione “Cairo vattene” ormai stanziale al centro della Curva Maratona.



 

Che non trova consensi unanimi, perché c’é chi sostiene e difende il numero uno di via dell’Arcivescovado; e questo è forse il male peggiore accaduto al popolo granata in questi ultimi anni, la radicale spaccatura che si vive quotidianamente. Si è arrivati, infine, all’annuncio fatale: Cairo lascia il Toro. O meglio, lascerà; non appena si farà vivo un qualche imprenditore “più ricco, più capace, più organizzato, più tifoso” e “piemontese, anzi possibilmente torinese”. Certo, se si dovessero davvero rispettare rigidamente tutti quesi parametri, diventerebbe davvero dura trovare un acquirente per il Torino. Torniamo così alla riflessione iniziale: a noi pare non sia cambiato nulla, dopo l’intervista di venerdì. Urbano Cairo, cresciuto in Publitalia, editore rampante, è prima d’ogni altra cosa un comunicatore.

 

Chi conosce punto per punto le critiche e le accuse a lui mosse proprio nei giorni scorsi, non può non leggere, nell’intervista annunciante l’intenzione di cedere, una risposta colpo su colpo a quelle. Ciò che fa il presidente granata è un’autodifesa piuttosto esplicita (nonché legittima); e con la propria manifesta disponibilità a trattare Cairo stoppa anche l’ultima possibile mossa di chi lo contesta: l’invito, reiterato, a “mettere in vendita” la società, per il bene del Toro. Facendolo, o anche solo dicendolo -e qui sta la mossa da grande comunicatore-, il patron granata si mette al riparo anche dall’estremo appello: “vendi”.

 

Nulla ci dice che l’intenzione di cedere non sia davvero reale, sia chiaro. Anzi, abbiamo ragione di credere che, a fronte di un’offerta ritenuta congrua, l’ex-”Papa Urbano” passerebbe la mano senza esitare. Semplicemente, sappiamo che questo era vero anche tre giorni fa, anche un mese fa, anche un anno fa: il numero uno del Toro venderebbe la sua creatura, se trovasse un acquirente affidabile e pronto a mettere sul piatto i milioni richiesti. Dunque, ecco che si inquadra in un’ottica meno superficiale l’uscita pubblica (la prima, dopo quasi due mesi di insolito silenzio) di Cairo. Che fa quel che gli viene richiesto dai suoi detrattori, ossia dichiarare la cedibilità del Torino FC, e coglie al contempo l’occasione di argomentare a proprio favore. Riducendo lo spazio di manovra alla contestazione, dopo aver fatto il passo definitivo, e continuando ad attendere un’offerta per il suo povero, derelitto Toro esattamente come la attendeva prima.

 

(Alessandro Salvatico)