José Mourinho non ha dubbi. Il suo cuore batte solo per l’Inter. In un’intervista al sito dell’Uefa il tecnico portoghese, interpellato sul suo ritorno allo Stanford Bridge, dice “La cosa positiva è che non dovrò camminare troppo. Dallo spogliatoio alla panchina ci saranno sì e no 5 metri. Non devo attraversare lo stadio, non devo sentire le emozioni e le reazioni del pubblico. Semplicemente, mi siederò in panchina e farò la mia partita I giocatori lottano in campo, io fuori. Loro sono molto più importanti di me, perché è in campo che si vincono le partite, non in panchina. Ma io sarò lì e il mio cuore batterà solo per l’Inter. Questo significa essere un professionista, anche se non nascondo che il Chelsea è una parte molto importante della mia vita”.



E poi sul momento della squadra nerazzurra “Anno dopo anno, la tendenza è migliorare. Se l’allenatore fa bene e la società lo appoggia, come accade all’Inter, cerchiamo sempre di cambiare per migliorare. Abbiamo acquistato alcuni tipi di giocatori che l’anno scorso non avevamo, per esempio un trequartista puro come Wesley Snijder. Poi abbiamo più soluzioni in attacco con Milito, Eto’o e Pandev. Naturalmente abbiamo perso Zlatan Ibrahimovic, ma con questi tre giocatori abbiamo più soluzioni e più opzioni. Inoltre, Lucio è il difensore centrale che non avevamo, alto e forte nel gioco aereo. Penso che siamo più adatti alle esigenze del calcio moderno”.



Poi un elogio incondizionato di Sneijder “È un classico giocatore di scuola Ajax. Di solito, chi veste quella maglia fin da ragazzino è tecnicamente impeccabile. Sa calciare sia di destro che di sinistro, gioca con intelligenza e ha sempre gli occhi bene aperti per leggere la partita. È la conseguenza del lavoro svolto da ragazzi, che poi è la splendida mentalità dell’Ajax. All’Inter, invece, ha una struttura che gli dà la possibilità di giocare come vuole. A volte penso che sia un attaccante perché ha molta libertà di movimento. Qui ha trovato l’ambiente giusto per esprimere le sue potenzialità”.



 E uno naturalmente anche per la squadra "La partita contro il Siena rappresenta bene quello che siamo. Perdevamo e abbiamo segnato il 3-3 al 91′. Una squadra normale avrebbe detto: ‘Okay, ce l’abbiamo fatta, abbiamo un punto e non abbiamo perso’, ma io ho gridato ai giocatori: ‘Mancano tre minuti, giocate!’. Potevamo vincere o perdere. Abbiamo vinto. Samuel mi chiedeva, ‘Torno dietro?’ e io ho risposto ‘No, stai avanti altri tre minuti e vediamo che succede’. È stata una mia decisione, ma un allenatore può solo essere aggressivo e avere questa mentalità vincente, se sa che la risposta dei giocatori è buona".

 

Con un pensiero finale per la Champions. " In Champions, però, il discorso può essere diverso. Si tratta di dettagli, un sorteggio fortunato o sfortunato, la palla che colpisce il palo ed entra o esce, il giocatore che è squalificato e salta una partita importante, gli infortuni che lasciano la squadra senza due o tre giocatori, un errore dell’arbitro che può favorirti o penalizzarti. In campionato vince sempre la squadra più forte, perché in 365 giorni i valori vengono fuori. Sii in Champions il discorso è proprio diverso. Naturalmente, solo un’ottima squadra può vincere la Champions League, ma al momento ne vedo otto o nove capaci di farlo. È difficile fare previsioni". Che sia la volta buona?