José Mourinho, nel bene e nel male l’uomo di cui parlano tutti. Il supplemento settimanale del Corriere della Sera in edicola in questi giorni dedica all’allentatore dell’Inter la copertina e un lungo servizio. Cercando di capirne qualcosa di più. Si è fatto un sacco di nemici, Mou, e l’unica cosa che dà fastidio anche ai tifosi dell’Inter è la scarsa fiducia che dà a SuperMario Balottelli: “E’ ancora un bambino” ha detto di lui. 47 anni, sposato con due figli, Mou è stato nominato per due anni consecutivi, 2004 e 2005, miglior coach del mondo dall’Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio. Vincitore di una Coppa Campioni con il Porto, con cui ha esordito come allenatore, episodio che è considerato una autentica impresa per una squadra piuttosto fuori dai giri del grande calcio. Da quando è arrivato all’Inter, nel 2008, dopo tre anni al Chelsea in cui ha vinto parecchio anche lì (due Premier League dopo 50 anni e varie coppe inglesi), ogni parola o gesto di Mou è diventata oggetto di discussione e polemica.



Nel ritratto che ne fa Antonio D’Orrico su Sette, viene fuori una figura complessa, dotata di molteplici personalità. La prima individuata è quella di “George Clooney”. Perché Mister Mourinho piace – e tanto – a quasi tutte le donne. Anche Sabrina Ferrilli, romanista DOC, lo ha caldamente difeso dopo la squalifica di tre giornate recentemente inflittagli per l’ormai famoso gesto delle manette esibito davanti alle telecamere durante Inter-Sampdoria: “Punizione eccessiva. Le reazioni di Mourinho vengono dal cuore, sono istintive, non fanno male a nessuno” ha detto. A questa va aggiunto il profilo Charles Aznavour, reso immortale nella sua canzone L’istrione: Mou è un istrione, certo (“La genialità è nata insieme a me”). D’Orrico dice che questo brano potrebbe essere il suo auto-inno.



Poi c’è il profilo Kantor, un importante regista di teatro polacco di cui si diceva che lo si vedeva in scena, non stava dietro le quinte. In effetti durante una partita dell’Inter è impossibile non notare Mourinho. Lui fa parte dello spettacolo anche se sta in panchina: gli sguardi irati rivolti all’arbitro di turno, i gesti plateali. Come quello, ormai una icona, delle manette. D’Orrico si sofferma poi sull’astiosa rivalità con Arséne Wenger, allenatore dell’Arsenal quando José era al Chelsea. Wenger così lo definì: “Quando uno stupido ha successo, il successo lo rende più stupido”. Un po’, come dice il giornalista del Corriere, quello che si disse di Adriano Celentano, “un cretino di talento”. Ma Mourinho non è uno stupido. Piuttosto un isterico.



 

D’Orrico tira fuori a questo punto un fine passaggio di psicologia: dallo studioso che analizzò l’isteria, Charcot, a Freud: il calcio come volontà di rappresentazione di se stesso (figlio di un portiere di calcio, da piccolo per compiacere il padre provò a fare il giocatore, lo stopper, con scarsi risultati. Decise allora che sarebbe diventato il più forte allenatore del mondo). C’è infine l’aspetto probabilmente più importante del controverso allenatore nerazzurro: Mourinho è oggi diventato un simbolo ultracalcistico, un’icona politico-esistenziale: “Gli errori di Mourinho le sue esagerazioni, il suo senso dell’io sono diventati un grande partito popolare”.

Verrebbe da paragonarlo a Berlusconi, allora, come ha fatto Gianni Mura di Repubblica, che lo ha soprannominato Furbinho: “Abile come Berlusconi nel vedere congiure ovunque anche se bisogna dargli atto che finora non ha mai indicato i comunisti come nemici”. Invece no, dice D’Orrico. Mou non è presenzialista, parla poco e quando lo fa parla solo di calcio. Però Mou è riuscito a diventare un simbolo extra calcistico. Il suo discorso sulla prostituzione intellettuale dei giornalisti sportivi ha lasciato il segno. In molti si sono chiesti se stesse parlando davvero solo di calcio: “La prostituzione intellettuale dei giornalisti, la grandissima manipolazione pubblica”.

 

Per Barbara Spinelli de La Stampa, “sembrava parlasse dell’Italia intera, non di calcio e basta”. La notte che l’Inter, in Coppa Campioni, aveva appena battuto il Chelsea, alle domande dei giornalisti se ne è uscito con un discorso che sembrava davvero politica: “E’ stato abbassando i toni che nel 2006 voi italiani avete costruito una storia che a me come professionista di calcio e come persona ha fatto vergognare (..). Io sono arrivato onesto e vado via onesto. L’Italia non mi cambierà”. Forse alla fine il vero ritratto è quello che D’Orrico individua a fine articolo. Tex Willer. Un calcio vissuto come duello western. Lo disse Sir Alex Ferguson, patron del Manchester United: “Mourinho mi piace. Penso che veda se stesso come il giovane pistolero venuto in città a sfidare lo sceriffo”.