Al solito posto nella gradinata sud. Dal padre Paolo, indimenticato presidente della Sampdoria, ha ereditato una grande passione sportiva unita ai principi di lealtà e correttezza. Francesca Mantovani ancora oggi, nonostante la proprietà non sia più nelle mani della sua famiglia, è la tifosa numero uno del settore della gradinata sud, pronta ad incitare i suoi beniamini. E lo sarà anche questa sera per il derby della Lanterna. In questi trent’anni ha seguito le gare dei blucerchiati, assistendo da vicino alle vittorie e alle sconfitte di una squadra che con la gestione Mantovani (1979-2002) ha vinto uno scudetto e sei coppe, senza tralasciare una Champions sfumata per un soffio contro il Barcellona. Oggi Francesca, madre di due figli, fra le altre cose sponsorizza una squadra di Esordienti (in una società gestita dall’ex blucerchiato Marco Franceschetti) sul Lago Maggiore. Ilsussidiario.net ha pensato di sentirla alla vigilia del derby della Lanterna e per una serie di coincidenze: il 9 aprile il padre avrebbe compiuto 80 anni e, partendo dal sogno Champions, ci sono i presupposti, 25 anni (1985) dopo il primo trofeo (la conquista della Coppa Italia) targato Mantovani, per aprire una nuova serie positiva.
Francesca, dove vede il derby della Lanterna?
Il derby lo vedo al solito posto in gradinata sud. Sono abbonata con mio figlio dal 2002. Mi diverte molto seguire le gare in gradinata, spesso in piedi perché non si trova posto. Nella nostra famiglia c’è sempre stata la tradizione di assistere solo ai derby giocati in casa, un po’ per scaramanzia, un po’, come scherzava mio padre, per evitare lunghe trasferte.
Da una parte una squadra che insegue il sogno Champions, dall’altra una che cerca un difficile posto in Europa League: chi parte favorito?
Nel calcio non esistono favoriti, figurarsi in un derby. Spero che lo vinca chi merita. Papà mi ha sempre insegnato a saper accettare la sconfitta quando meritata. Il derby della Lanterna resta unico in Italia in fatto di tifo e coreografie.
Il derby è una sfida dal sapore particolare, ne ricorda uno in particolare?
Ricordo con piacere il derby della stagione ’78-’79, quando la Samp, due volte in svantaggio, vinse a 3 a 2 con gol di Roselli. Negli ultimi anni quello vinto con il gol di Maggio su assist di Cassano.
Può raccontare quando è sbocciato l’amore per i colori blucerchiati?
Mi sono innamorata della Samp fin da bambina (all’età di 12 anni, ndr) per colpa di mio papà (addetto stampa del club, ndr). Lo trascinavo anche in lunghe trasferte. Una volta, incinta, sono stata sgridata da Boskov («Francesca, tuo stato non permette certe cose») perché guidai la macchina fino a Cremona dove la squadra era in ritiro.
La passione sportiva è una grossa eredità da gestire…
Mio papà ci ha passato i geni sportivi. Mi capita di portare a vedere le gare della Samp anche degli amici che tifano altre squadre. Mi piacerebbe assistere a un calcio senza reti e senza gabbie, ma purtroppo sono convinta che non possiamo farcela. A volte mi stupisco di essere ancora appassionata. Attorno al mondo del calcio ci sono troppe cose negative, ma è un discorso da estendere anche ai settori giovanili: è lì che bisogna lavorare sull’educazione e sul rispetto dell’avversario. Io non ho mai tifato contro gli altri, ma sempre a favore della mia squadra. L’anno scorso, ad esempio, nella finale di Coppa Italia persa contro la Lazio i tifosi della Samp hanno dimostrato di aver imparato qualcosa dallo stile di mio papà. Abbiamo perso la finale, dopo anni che non capitavano simili situazioni, e ci hanno trattenuto, senza motivo, per tre ore dentro lo stadio. E sa cosa è successo? Abbiamo cantato fino alle due di notte per i colori della nostra squadra. E’ stato bellissimo.
Quando nel 1993 tua madre e i tuoi fratelli presero il club lo mantennero a un buon livello, poi successero dei fatti anche incresciosi che costrinsero la tua famiglia a cedere la proprietà. A distanza di tempo, come si è spiegata questa ingratitudine di parte del tifo?
La vita è questa. Quando si vince tutto va bene, ma nel momento in cui si incomincia a perdere, non tutti riescono a capire l’amore e la dedizione che metti a disposizione. Il tempo può aiutare a comprendere. Tanti tifosi ancora oggi, quando mi riconoscono, mi dimostrano, però, affetto.
C’è spazio, un giorno, per un ritorno nel calcio della famiglia Mantovani?
No, ci siamo felicemente ritagliati il ruolo di tifosi. La nostra famiglia, sempre unita, ha dato molto alla Sampdoria, adesso siamo usciti e altri devono continuare. Mio fratello Enrico è stato bravissimo a passare il testimone alla migliore persona possibile (Garrone, ndr), a un genovese che tifa Samp.
Come si troverebbe una persona come suo padre, e più in generale la famiglia Mantovani, nel calcio del 2000?
Non ci troveremmo bene. Papà non si troverebbe bene, perché sono cambiate troppe cose. Credo sia stato un presidente speciale. Non manca solo a noi figli e ai sampdoriani, manca a tutto il calcio come figura in grado di tentare di combattere con educazione e rispetto. In giro per l’Europa lo conoscono e lo stimano. Teneva più alla coppa disciplina, al comportamento dei tifosi, che ai successi, questa è la cosa più bella che ha lasciato.
Lei seguiva da vicino la squadra, qualcuno ha sempre raccontato che i veri allenatori, artefici dei successi, erano Vialli e Mancini, è d’accordo con questa analisi?
Nella Samp di quegli anni ognuno (presidente, allenatore e giocatori) faceva la sua parte. Il resto sono solo chiacchiere.
Qual è il giocatore che in questi anni ha incarnato maggiormente lo spirito blucerchiato?
Trovare un nome è difficile. Nomino, al di là del giocatore, Attilio Lombardo perché è un uomo speciale. Ci siamo sempre sentiti e siamo diventati amici.
Tanti successi, ma anche una cocente delusione, difficile da digerire. Penso alla finale di Coppa Campioni…
Abbiamo giocato alla pari la finale di Coppa Campioni a Londra, peccato che sia finita così (gol di Koeman su punizione, ndr), quando tutti eravamo ormai convinti di poterla spuntare ai rigori con un Pagliuca in forma strepitosa. Forse in quella partita i giocatori più rappresentativi (Vialli e Mancini) giocarono meno bene degli altri perché troppo emozionati. Dopo la gara, mio padre non si fermò alla cena e salì, triste, direttamente in camera. E’ stato un colpo durissimo, anche se mi ha sempre insegnato che potevamo dire di essere arrivati in finale. Il rammarico è quello di non aver potuto seguire la sfida, come ero abituata, accanto a lui. Anche a Berna era andata così e anche lì avevamo perso la finale.
Tornando alla quotidianità, come giudica, da tifosa, la stagione della Samp?
Ha disputato un’annata a fase alterna. E’ partita benissimo, poi ha avuto un periodo negativo e adesso è in lotta per il quarto posto. Apprezzo il lavoro di Del Neri e le sue scelte: il bilancio è positivo sia per il gioco espresso che per i risultati.
Il suo idolo di oggi?
Adoro il capitano Angelo Palombo.
E su Cassano cosa può dire?
Io sono innamorata dei bravi giocatori, ma anche della loro testa. Mi aspetto, a partire dal derby di questa sera, che possa ripetere l’esplosione di inizio campionato.
Per certi versi il fantasista barese è simile a Roberto Mancini, cosa pensa del futuro da allenatore dell’ex numero dieci blucerchiato?
Mancini è un giocatore importante che in 15 anni alla Samp ha dato e ha ricevuto molto. Sta facendo bene da allenatore, ottenendo risultati positivi.
(Luciano Zanardini)