Sesto San Giovanni – «La passione del fare e del fare nel sociale» è quella che ha spinto Mario Mazzoleni, un professore universitario con un curriculum di tutto rispetto, che sarebbe difficile da sintetizzare senza incorrere in errori, a sposare due anni fa – nominato presidente – il progetto di rilancio del basket Geas, un team che milita nel campionato di serie A1 femminile. La storica squadra, che all’attivo ha anche una Coppa dei Campioni, attraversava una grave crisi finanziaria, ecco allora che Mazzoleni ha accettato la sfida. Evitato il fallimento, è partito un programma che ha come obiettivo principale quello di rilanciare un «progetto educativo, sportivo e agonistico al femminile». E’stata costituita prima una Srl non for profit che ha raccolto le prime dotazioni finanziarie e dopo un anno è nata l’idea della cooperativa Amici del Geas dove la persona è al centro della mission dell’azienda perché si punta «ad ottenere attraverso il gioco di squadra un risultato che sia maggiore della somma dei talenti messi in campo». Per quanto riguarda i risultati, il 2010 dice che il sogno del Geas si è fermato sul parquet di Faenza nei quarti di finale dei play off scudetto. In questa lunga intervista concessa in esclusiva a ilsussidiario.net Mazzoleni, professore associato presso l’Università degli Studi di Brescia dove segue i corsi di Economia Aziendale, Economia e Gestione delle Aziende Cooperative e Temi Speciali di Bilancio e Bilancio Sociale (per informazioni si può consultare il sito internet www.academeia.it), racconta la genesi e lo sviluppo di un progetto che di fatto sta aprendo orizzonti nuovi nel panorama sportivo italiano.



Professor Mazzoleni, dalla cattedra alla gestione di una società che milita in serie A1. Ha risposto alla chiamata della passione?

Ad una chiamata di passione sì, anche se non direttamente per il basket. Per una tragica decisione del destino insieme ad alcuni amici ci siamo ritrovati una società storica nel basket femminile in gravissima crisi finanziaria e senza il suo uomo di riferimento Natalino Carzaniga morto improvvisamente per infarto due anni fa. Bisognava provare a salvarla dal fallimento e provare a rilanciare un progetto educativo, sportivo e agonistico al femminile. La passione del fare e del fare nel sociale mi ha così portato a seguire questa nuova avventura.



Cosa ha portato della sua esperienza professionale nel basket?

Dall’inizio ci siamo posti un paio di obiettivi da raggiungere. Il primo affrontare il progetto Geas come un impegno professionale che trasformasse la società in un’azienda con una propria logica strategica, una propria struttura organizzativa, proprie modalità di funzionamento, un proprio budget e una capacità di programmare a medio termine. Il secondo è stato quello di definire in modo chiaro la nostra missione che si è tradotta in lanciare un progetto di genere con forti connotazioni sociali ed educative supportato da un corretta vocazione agonistica. Vogliamo usare lo sport per fare crescere le nostre ragazze e giocatrici, dare loro il senso delle regole, della partecipazione, della condivisione e della sfida positiva. Puntiamo ad ottenere buoni risultati con la prima squadra, ma anche ad essere il vivaio di riferimento per tutto il movimento del basket.



Quando e come è sorta l’idea di costituire la cooperativa “Amici del Geas”?

Quando abbiamo dovuto trovare un modo attraverso il quale superare la pesante crisi nella quale si trovata il Geas avevamo in mente di riuscire a lanciare una sorta di azionariato popolare per coinvolgere un importante numero di persone intorno al progetto Geas Basket, purtroppo le normative nel nostro Paese non permettevano di farlo senza stravolgere le regole dello sport semi o professionistico. Così siamo partiti con una Srl non for profit che ha raccolto le prime dotazioni finanziarie e dopo il primo anno abbiamo pensato di coinvolgere intorno al nostro lavoro tutti coloro che avessero voglia di darci una mano. Da qui l’idea della cooperativa Amici del Geas. Molta gente non conosce il funzionamento delle cooperative e teme di rimanere invischiato patrimonialmente nelle avventure dello sport, altri sono in difficoltà a pensare di partecipare non solo sportivamente, ma anche aziendalmente a questa iniziativa che comunque rimane imprenditoriale (sebbene non for profit).

 

Nella cooperativa al centro c’è la persona. Come si esplica questo modus operandi in un team sportivo?

E’ ancora più naturale che in una cooperativa, a maggiore ragione per chi fa sport di squadra. La vera sfida è sempre quella di riuscire a fare vivere a tutti un’esperienza gratificante, coinvolgente, premiante sia che si giochi nel mini basket sia che si sia sullo scenario della serie a. La nostra filosofia è sempre quella di divertirci anche nella sfida più impegnativa. Si traduce anche nel modo attraverso il quale i tecnici riescono a fare squadra consapevoli che, anche in questo caso, la vera sfida è quella di riuscire ad ottenere attraverso il gioco di squadra un risultato che sia maggiore della somma dei talenti messi in campo.

 

Si tratta di una sorta di azionariato popolare? Qual è la situazione attuale? Quanti sono i soci?

Sì, come dicevo l’idea è che la cooperativa diventi un elemento portante della governance del nostro sistema basket. Purtroppo dovremo lavorare a lungo ancora ma l’obiettivo è quello di arrivare ad avere numeri importanti di soci. Per ora siamo sotto le 50 unità.

 

In Italia questo modello si può estendere, secondo i suoi studi, anche ad altri sport che richiedono budget più onerosi? Penso al calcio, dove le società sono nelle mani di un’unica persona. Si tutti noi conosciam

O la polisportiva del Barcellona, con un abile mix tra il coinvolgimento di imprenditori con grandi disponibilità economiche e masse di sportivi che investono sul progetto della polisportiva si è realizzata un’azienda interessante, potente e vincente (sia nel calcio sia in altri sport compreso il basket). Certo mancano le leggi adeguate e, soprattutto, la cultura manageriale a supporto di questi progetti.

 

(Luciano Zanardini)